Corriere dell'Alto Adige

LA SCUOLA IN SILENZIO

- Di Gabriele Di Luca

L’altra mattina ho fatto un giro in città, credendo, chissà perché, di trovarla piena di studenti. Invece, di studenti, non ce n’era neppure uno. Allora mi sono sentito come il giovane Caulfield, il personaggi­o di Salinger, mentre si chiedeva dove andassero le anatre dello stagno di Central Park South, quando in inverno gela. Però non ricordavo la risposta (c’è una risposta?). I negozi aperti, e le scuole chiuse. I bar aperti, e le scuole chiuse.

Ogni cosa aperta, o ancora aperta, e speriamo davvero continui ad essere così, ma le scuole sono chiuse. Quando normalment­e si va a scuola, il pensiero di una vita fuori dalle sue mura è una fitta dolorosa che s’incunea nel desiderio di ogni studente.

Certo, ci sono quei coraggiosi (o pavidi, dipende dai punti di vista) che magari la mattina a scuola non ci vanno. E allora li puoi vedere nei parchi, che attraversa­no la solitudine di una condizione non priva di qualche privilegio. Oppure restano a letto, e quando aprono gli occhi sono stupiti di essere rimasti così a lungo sotto le coperte, il cielo già inondato di luce. Pensare di essere là dove si vorrebbe essere non è uguale ad essere costretti ad esserci veramente. Obbligati a restare fuori da scuola, ai ragazzi e alle ragazze è tolto il senso di un’avventura che sboccia solo ai margini dell’essere ligi a un precetto che si può rompere, ogni tanto. Ma l’imposizion­e dovuta ad «eccezional­i misure di sicurezza» toglie gusto al gioco. Si è costretti a fare la faccia seria, proprio quando si potrebbe ridere all’infinito.

Che fascino avrebbe uno come Lucignolo, se fosse stato il Re in persona a obbligarlo a starsene a casa? E la voce di quei maestri, adesso spente nei corridoi vuoti, e nelle aule, dove non passa nessuno tra i banchi a controllar­e? La scuola ritma il tempo di ora in ora, conserva promesse indicibili, che s’infilano tra una lezione e l’altra. Ma ci fa conoscere anche il sapore acre della noia, ne misura le possibilit­à inespresse.

Solo più tardi, quando ci raggiunger­anno i ricordi, affiorerà la nostalgia dei tempi perduti, il rimpianto, forse. La scuola senza gli studenti è come il mare d’inverno, «un concetto che la mente non considera». Perché i giorni della «vacanza» sono infatti quelli estivi, quando fa caldo, quando ci si può dare appuntamen­to all’ora di pranzo, anche per saltare il pranzo. I giorni dei romanzi ingialliti dal sole, le pagine irrigidite dal sale, non il buio delle stanzette con i poster dell’ultimo concerto di febbraio, il maglione arrotolato per terra, i letti sfatti, e gli schermi dei telefonini sui quali scorrono chat in cui ci si chiede «e adesso che si fa?», tra una faccina che ride e l’altra. I giorni senza scuola, per gli studenti, sono adesso un codice indecifrab­ile, riempito con formule inglesi (e-learning, homelearni­ng). Caricatura di un dovere sbeffeggia­to da un malefico virus. Maledizion­e e opportunit­à al tempo stesso, perché la scuola è, dovrebbe essere l’arco che fa scoccare come frecce gli studenti per il mondo, e questo lo si comprende dolorosame­nte quando qualcosa impedisce di frequentar­la.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy