VA CERCATA UNA SVOLTA
Che nella lingua cinese si usino gli stessi ideogrammi per scrivere le parole «crisi» e «opportunità» è un luogo comune già ampiamente smentito. Seppure falsa, tale convinzione contiene un fondo di verità. I momenti difficili, nel metterci difronte a pericoli inattesi, possono infatti generare comportamenti virtuosi anche nella normalità. Per non abbandonarci alla disperazione mentre le misure governative diventano più rigide, allora, credo sia utile cercare di capire quali lezioni positive offra l’emergenza legata alla diffusione del coronavirus. Le molte limitazioni cui siamo sottoposti potrebbero dunque essere viste come una sorta di «compiti a casa», è proprio il caso di chiamarli così, da svolgere diligentemente. Il primo pensiero va a quanto diamo per scontato, per normale, anzi indispensabile.
Con l’effetto di non apprezzarlo appieno e di ignorare che non è così per chiunque. L’aperitivo al bar e la cena al ristorante sono un piacere che molti non possono permettersi o possono farlo con parsimonia. Eppure sono importanti, non tanto per contrastare la noia, bensì per evitare la solitudine non voluta, per socializzare ed evolvere la nostra personalità e la nostra conoscenza proprio attraverso lo scambio interpersonale. Noi ci rispecchiamo nell’altro e ogni incontro, perfino quando è sgradevole, forgia il nostro essere. Da un estremo all’altro, la «quarantena nazionale» ci porta però a riconsiderare i pregi della solitudine. Oggi affermare ossessivamente di non avere tempo è una moda che ci fa sentire importanti: è raro che qualcuno ammetta di potersi minimamente dedicare all’ozio. D’altronde, i più rifuggono dal vuoto, forse vittime di un’inconscia paura di trovarsi faccia a faccia con se stessi, con i propri dubbi e le proprie frustrazioni. Finché corri hai comunque una meta da raggiungere, ma se ti fermi devi chiederti dove sei arrivato, se vuoi andare oltre o tornare indietro, se hai la forza per raggiungere il traguardo.Il rallentamento della vita sociale rilancia poi l’ambito della famiglia, quella vera non quella utile per gli slogan politici. Tolta dal frullatore della modernità, o supposta tale, ne riscopriamo gioie e dolori. Già, perché uscendo dalla retorica da romanzo rosa, anche il nucleo più affiatato deve affrontare e superare sfide di vario genere: se i ritmi forsennati ci offrono la scusa per accantonare e rimandare, ossia per rimuovere lasciando i nodi in sospeso, oggi ci ritroviamo puntuali a cenare insieme, a guardarci negli occhi, a parlare. Per qualcuno sarà un calvario, ma spero che per molti sarà l’occasione per una ripartenza costruita sul dialogo e su solide basi. In tutto ciò, misuriamo l’importanza autentica del tempo di cui dobbiamo essere padroni e del senso del limite da applicare alle pulsioni egoistiche come a ogni altra scelta. Oltre la dimensione privata, una simile consapevolezza forse contagerà l’economia afflitta da deliri di onnipotenza e dalla dittatura della massimizzazione del profitto. Non si tratta di rinnegare il capitalismo o di coltivare assurde nostalgie, ma semplicemente di fermare alcune derive insidiose causate dall’assenza di una riflessione autentica. La delocalizzazione selvaggia e il proliferare degli oligopoli ci ha reso fragili: il mondo globale nel momento del bisogno ha dimostrato senza ipocrisia il nazionalismo di cui peraltro i segnali non sono mancati nel recente passato. Chi produce mascherine o ventilatori riempie i magazzini per il mercato locale ancora «normale» e rifiuta di soddisfare una domanda estera che è già richiesta di sopravvivenza. Non è solo l’organizzazione della produzione a essere messa in discussione, ma anche quella minuta del lavoro: forse scopriremo la possibilità di un maggior ricorso al telelavoro, liberando il tempo degli spostamenti casa-azienda e riducendo smog o intasamento dei mezzi di trasporto pubblico. Naturalmente, non si dovrà passare da un eccesso all’altro: la vicinanza fisica crea spirito di squadra se ci sono buoni leader e spesso genera idee preziose. Ogni realtà, pertanto, dovrà auspicabilmente trovare il giusto mix, individuando per esempio quando sia indispensabile far convergere più persone da luoghi distanti e quando invece una teleconferenza produca gli stessi risultati con risparmio di costi e di ore perdute viaggiando. In tale ricerca sarà utile conservare quello spirito di solidarietà che tante imprese hanno dimostrato verso i propri dipendenti e la società intera, spirito che sta animando numerosi cittadini pronti ad aiutare il vicino, a partecipare a una raccolta fondi per gli ospedali, a dare in qualche modo un aiuto.
Infine, tra le buone nuove di questi tempi oscuri c’è quanto ha appurato uno studio della Fondazione Bruno Kessler: in molti Paesi (Italia inclusa) prima della diffusione dell’epidemia proliferavano al riguardo sui social le fake news sul virus, poi quando il coronavirus è arrivato tra noi «si è assistito a un’inversione di tendenza verso fonti più attendibili». Come sempre, la tecnologia di per se non è né buona né cattiva: dipende da noi farne un uso corretto affinché sia vantaggiosa. Ce lo ricorderemo quando avremo dimenticato il Covid-19?