«Il giovane donatore, sorriso di speranza»
Imprescia, presidente di Admo «Al S. Maurizio per dare il sangue, ho riconosciuto uno studente che ha appena donato midollo e nuova vita a un malato»
Emanuela Imprescia, presidente Admo,ha varcato la soglia del S. Maurizio per donare il sangue. «Lì ho incontrato un ragazzo che avevo conosciuto a un incontro con le scuole: ho scoperto che aveva da poco donato il midollo. La generosità non si fermi».
Anche nella gravità del momento, inedito per la nostra storia, sono tanti i gesti di solidarietà, speranza e generosità. Stiamo cercando di darne notizia in questi giorni, ma segnalateci anche voi storie o personaggi che meritano di essere raccontati. Scriveteci, se volete, a redazione@corrierealtoadige.it
BOLZANO Se c’è una cosa che, tra tutte, non può permettersi il lusso di restare a casa questa è la generosità. A spiegarlo con delicatezza è la storia riportata ieri su Facebook dalla presidente di Admo Alto Adige Emanuele Imprescia.
Ieri mattina ha voluto rispondere all’appello lanciato da Avis per la necessità di sangue sul territorio nazionale. «Ho ricevuto una mail da parte dell’associazione che invitava chi si trova in buona salute a recarsi negli ospedali per i prelievi. Ho accettato senza problemi e sono andata al San Maurizio». Un’azione coraggiosa in un momento in cui gli ospedali vengono percepiti come luoghi pericolosi. «Per me si tratta di un dovere ma anche dell’opportunità di provare la bella sensazione che questo dono mi regala sempre. In ospedale ci sono mille tutele per i donatori, la situazione è controllata al centimetro come sempre e non si corre alcun rischio a donare».
Durante l’attesa, rigorosamente in una sala dove viene consentita la seduta solo su un seggiolino ogni due, l’occhio di Emanuela si è posato su un giovane ragazzo di 20 anni. «Prima mi ha colpito la sua espressione serena e in pace con il mondo, poi ho iniziato a chiedermi dove lo avessi già visto. Gli ho indicato uno dei dispenser di disinfettante e mi ha sorriso. A quel punto ho avuto la certezza di averlo già incontrato, quel sorriso». Solo l’aiuto di una dottoressa, però, spalanca ad Imprescia il ricordo. «Il medico si avvicina e mi comunica che, pochi giorni fa, abbiamo avuto una donazione effettiva di midollo osseo e il donatore era proprio quel giovane, tornato in ospedale per alcuni controlli».
A quel punto la storia si dipana come un libro. «Vado a congratularmi con lui invitandolo ad aggiungere il suo cuore all’albero dei donatori che abbiamo nella nostra sede Admo e lui mi racconta di ricordarsi di me. Tre anni fa, quando frequentava l’Istituto Galilei, avevo tenuto una lezione sull’importanza della donazione ai ragazzi e in 92 si erano iscritti per iniziare il percorso. Avevo parlato per due ore davanti a 270 ragazzi in aula magna ed ero anche un po’ in difficoltà: non funzionava il video... Avevo raccontato la mia esperienza appoggiandomi a mio figlio che era in platea. Oggi due di quei ragazzi sono donatori effettivi. Hanno concesso a qualcun altro nel mondo di nutrire una speranza».
Oltre al dono, che deve sempre colpire per la sua importanza, resta la forza di un giovane che ha voluto affrontare un momento sanitario delicatissimo per dare il suo contributo. «Sì, è il motivo per cui ho voluto raccontare questo aneddoto. Sappiamo tutti che, con l’epidemia di Coronavirus, stiamo vivendo giorni pieni di paure. Le altre malattie, tuttavia, non si sono fermate. Chi ha bisogno di un trapianto di cellule staminali emopoietiche rimane una persona che attende una speranza, anche se là fuori c’è la pandemia. Non dobbiamo distruggere questa speranza per il timore che gli ospedali siano luoghi insicuri». Lo sono per i donatori? «Partiamo da un presupposto. Per la sanità i donatori sono sempre quanto di più prezioso possa esserci. Gli standard per la loro protezione, quindi, sono il massimo possibile in ogni momento. A maggior ragione adesso. Nel concreto significa che chi si reca all’ospedale non entra in contatto con le zone di gestione di emergenza di Covid 19. Il personale sanitario con cui si rapporta, inoltre, è dotato di mascherine e di tutta l’attrezzatura necessaria ad evitare di contagiarsi e, anche, di contagiare i pazienti qualora siano loro ad essere infetti senza saperlo. Se a questo aggiungiamo che a chi dona viene fatto il tampone per ovvi motivi di sicurezza possiamo dire che, addirittura, si esce ancora più sicuri e controllati di quando si entra».