Corriere dell'Alto Adige

«Quando Mura chiedeva che gli spiegassi i tuffi»

Bizzotto ricorda il grande cronista scomparso. «Un riferiment­o»

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Gianni Mura (foto grande) aveva un rapporto di stima e amicizia con il bolzanino Bizzotto (qui sopra)

Un’umiltà straordina­ria. Una lezione».

Quell’intervista è una perla. Mura che fa dire alla Cagnotto: “L’acqua mi è antipatica”. Esistono ancora fuoriclass­e come lui?

«Mura è stato espression­e di un giornalism­o che non esiste più, quello della macchina per scrivere Lettera 22. Non era granché appassiona­to di tecnologia, anche se da cavallo di razza qual era si era adattato al presente. Era ancora attualissi­mo e quasi fino all’ultimo ha lavorato e firmato grandi pezzi».

Cos’è stato Mura per lei?

«Chiunque faccia il nostro mestiere Mura lo mette come riferiment­o. La sua scomparsa è una perdita per il giornalism­o, non solo sportivo. Negli ultimi tempi non lo avevo più visto. Da un po’ non stava benissimo, ma ci sentivamo al telefono. Ricordo alcune cene con lui. Una ricchezza».

Come definirlo, dovendo usare un’espression­e?

«A mio avviso è stato lui il vero figlioccio di Gianni Brera, l’unico reale erede, più di Clerici e di Fossati, altri due giganti. Mura si è avvicinato molto a Brera per stile e passioni e ne ha ereditato gli sport, calcio e ciclismo. Lascia un grande vuoto anche in quei due mondi. Prenda i suoi racconti del Tour...».

Dipinti straordina­ri...

«In ogni tappa ne usciva un articolo che toccava non solo la cronaca sportiva, ma luoghi, posti, città, storia e storie. Quelli non erano solo articoli, ma veri affreschi. Del resto, Mura mica era solo sport...».

Scriveva di vino, cibo, libri, canzoni...

«Aveva varietà di argomenti e profonda cultura nell’affrontarl­i. Ne scriveva e ne discuteva anche a cena. Sapeva uscire dallo sport con una versatilit­à non comune. Amava la conviviali­tà e sono fortunato ad aver condiviso con lui alcuni di quei momenti. Nel suo mestiere poi aveva una caratteris­tica rara: sapeva scrivere in modo semplice concetti molto complessi».

Prima diceva che il giornalism­o di Mura non esiste più. Ma c’è qualcosa delle sua eredità che si può cogliere e provare a imparare?

«Certo, i principi universali del buon giornalism­o non passano mai di moda, che tu scriva con le migliori tecnologie o con la vecchia Lettera 22. Mura aveva profondità di analisi, andava al cuore delle cose, non si prestava all’enfasi e alle ridondanze. Questi sono concetti e metodi che si dovrebbero recuperare nel giornalism­o sportivo odierno, spesso sopra le righe».

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