«Shukran», le luci marocchine di Perbellini
Il libro dell’artista altoatesino Perbellini Reportage dal Marocco, immagini e sogno prima del lockdown. La mostra virtuale
«Shukran», che in arabo significa «grazie», è il titolo con cui il giovane fotografo meranese Davide Perbellini, 30 anni, ha battezzato il suo ultimo progetto, nato nell’isolamento della quarantena da coronavirus. Un vero e proprio reportage fotografico del viaggio che, subito prima del lockdown, lo ha portato in Marocco con la famiglia.
Rientrato in Alto Adige e costretto in quarantena, si è concentrato per settimane sulla post-produzione del materiale fotografico realizzato, per raccoglierlo in una carrellata di scatti intensi che vengono ora presentati in collaborazione con la galleria 00A di Merano, sotto forma di vernissage virtuale.
Un progetto che ha anche un risvolto tangibile in quella che l’artista definisce una «photozine», dalla crasi dei due termini inglesi photo e magazine, «fotografia» e «rivista»: una pubblicazione, stampata in questa prima edizione in meno di cento copie, che vuole essere una presa di posizione per richiamare l’attenzione sulla difficile situazione in cui versano i creativi ai tempi del covid-19, con il genio espressivo imbottigliato tra le quattro mura di casa. «L’isolamento, per quanto significativo sia in questa situazione eccezionale, non deve e non può paralizzare l’arte - dichiara Davide Perbellini -. Solo perché il mondo esterno si ferma all’improvviso non significa che la nostra creatività scompaia da un giorno all’altro. Al contrario, in fin dei conti noi viviamo con essa e per essa».
Ed è la costrizione domestica a creare il forte contrasto con fotogrammi nati dalla libertà espressiva di un viaggio all’estero: un piccolo piacere che, oggi, è relegato a mero ricordo di una normalità del passato che non sappiamo quando potrà tornare a far parte del nostro quotidiano. «Fin dall’inizio per me era importante che la mia creatività potesse raggiungere le persone anche in questo periodo di involontaria solitudine», spiega il meranese.
Curioso, date le premesse, che a dare il titolo al reportage sia la parola più benevola e rassicurante del vocabolario arabo. Quello «Shukran» che vuole essere un aperto ringraziamento in un momento in cui, forse, in pochi pensano di aver qualcosa di cui essere grati al destino.
«Shukran è l’espressione che più ricordo della mia visita a Marrakech - spiega il fotografo, nella prefazione al suo progetto virtuale -. La sentivamo risuonare ovunque, perché in ogni momento c’era qualcuno che provava a venderti qualcosa, un oggetto o una semplice informazione.
Allora Shukran serviva, perché era importante poter rifiutare, ma ancor più fondamentale ringraziare».
Pur se affidata al digitale per la fruizione destinata al pubblico, la mostra di Perbellini trasuda emozioni tridimensionali e multisensoriali. Dai suoi scatti, che cristallizzano fermi immagine della vita dinamica e convulsa in pieno divenire nella città marocchina, si possono percepire suoni, odori e voci.
Le foto arrivano al visitatore come un tripudio di colori: quelli del souk affollato di merci di ogni genere e pervaso da mercanti e turisti, quelli degli sguardi intensi della gente del posto, quelli delle notti maghrebine con i fari delle auto che lasciano scie psichedeliche.
«Marrakech è anche la città dei motorini che spuntavano da ogni angolo e che, troppo spesso, abbiamo schivato solo all’ultimo - ricorda l’artista meranese -. E poi ci sono i muli, forse il mezzo di trasporto più usato dopo i motorini. Anche loro si potevano vedere ovunque, usati per i motivi più vari, dai traslochi al trasporto di materiale edile». Le foto, nate a scopo artistico in un contesto turistico privato come tanti, rivelano però il loro prezioso e inatteso ruolo documentale mostrando una città, colta nel suo usuale pulsare, in uno degli ultimi giorni di caotica quotidianità. Quando la pandemia verrà dichiarata superata e marocchini e turisti torneranno a percorrere quelle stesse vie, probabilmente anche Marrakech non sarà più la stessa.
Una consapevolezza che, con il senno di poi, cambia drasticamente la visione tanto del fotografo che dello spettatore di fronte alla serie fotografica proposta.
La normalità assume carattere straordinario, la routine si fa ricordo nostalgico, i volti di giovani e anziani, ritratti sorridenti fino a poche settimane fa, instillano il dubbio recondito di una sopravvivenza in bilico e non garantita a nessuno.
Eppure, a unire paesaggi, persone, animali e oggetti di una vacanza documentata dall’obiettivo dell’artista, resta un filo rosso che è quello della speranza e della gratitudine per quanto visto e vissuto: Shukran.