Alto Adige in musica Storie, dischi e volti degli anni Sessanta
La passione per i vinili nel libro di Paolo Carnevale
Sono storie che raccontano di un Alto Adige che in pochi ricordano, quelle che si intrecciano tra le pagine del nuovo libro di Paolo «Crazy» Carnevale Vinili (dolo)mitici, pubblicato da Riff edizioni. Nulla a che vedere con i romanzi polizieschi dello scrittore e giornalista bolzanino. Protagonista del suo ultimo titolo è la musica.
Il libro è un omaggio ai leggendari anni in cui le note blues viaggiavano su quei supporti giurassici che furono i dischi in vinile, destinati a incagliarsi sui giradischi, ma capaci di trasmettere emozioni gracchianti che ruggivano sotto le puntine sporche. Storie romantiche e avventurose di nomi e volti dell’Alto Adige degli anni Settanta e Ottanta, in cui piccoli studi di incisione e nuove etichette discografiche si moltiplicarono dando impulso alla creatività di gruppi emergenti e band locali. A orientare il nuovo libro è stata la figura di Enrico Micheletti e quel «disco perduto dell’hard time blues band» di cui l’autore è venuto in possesso per vie traverse. «Una serie di coincidenze mi hanno portato ad avere in mano questo vinile mai uscito e da cui tutto prende spunto - rivela Carnevale -. Massimo Piliego, personaggio chiave della scena musicale altoatesina, aveva il nastro originale, ebbe l’idea di farla trasferire su cd perché si conservasse. Ne diede copia a Loris Anesi, il batterista di Enrico, tramite lui l’ho avuto io». Un inedito clamoroso con otto brani incisi nel 1979, riemersi dopo quarant’anni, e una traccia fantasma che hanno risvegliato nello scrittore il desiderio di scavare nelle memorie di nomi che hanno popolato il panorama musicale di quel periodo.
Diciotto capitoli che partono proprio da Enrico Micheletti, «dai suoi viaggi in oriente alle sue torunèe in
Belgio, fino alla fortunata svolta romana: era un chitarrista strepitoso, riuscì a entrare nel circuito giusto e venne lanciato nell’olimpo della musica che conta - ricorda «Crazy» -. Il gruppo suonava parecchio, i giornali non parlavano d’altro, partecipava ai maggiori festival blues e lui era sulla bocca di tutti sia per la sua statura artistica sia per il suo notorio caratteraccio. Era un irrequieto e trattava tutti malissimo: da gennaio ‘78, quando aveva fondato la band, al giugno ‘79, quando si è trasferito a Los Angeles, era riuscito a cambiare tre volte la formazione del gruppo. Ma, come ripeteva sempre, “il blues era lui”. Un ego spropositato che contemplava solo comprimari». Altre vite, altre storie. Come quella di Klaus Tengler, cantautore rock noto come «il californiano». «Si faceva chiamare Klaus Levi perché forse sulla West Coast era più cool - spiega lo scrittore -. Un Guccini sudtirolese che cantava indifferentemente in italiano e in tedesco, viaggiava l’Europa in treno e in America aveva trovato il successo. Poi però si è innamorato del flamenco, ha messo da parte le chitarre elettriche e acustiche, è passato alle corde di nylon e ora che è sulla sessantina ha definitivamente abbandonato il blues e suona flamenco a Las Vegas. Dice che Bolzano non lo meritava e forse aveva ragione». Personaggi complicati dal carattere spigoloso. «Anche i più tranquilli e defilati, come Emilio Insolvibile, ha mandato all’aria un ottimo contratto discografico perché a Milano avevano proposto un arrangiamento che a lui non piaceva: così ha tagliato i nastri in casa di registrazione e se n’è andato».
E ancora, gli Skanners, Ricky Gobbo, Georg Clementi e i fratelli Giovanett fino al «caso Funkwagen» e il tormentone «Ghematonzen».