LE NOZZE E LO STILE CHE MUTA
Il coronavirus sembra non aver risparmiato nemmeno i matrimoni. Perché in Italia le cerimonie nuziali si concentrano tradizionalmente tra i mesi di maggio e di settembre e la pandemia costringe – si stima – a far saltare 60 mila matrimoni. Posticipati, rimandati a tempi (che si spera) migliori. Suscitando delusione e non poche difficoltà organizzative tra le coppie dei nubendi, ma anche evidenti danni economici a tutto un settore – quello della cosiddetta wedding industry – che interessa ristoranti, fotografi, fioristi, la filiera dell’abbigliamento, le agenzie di viaggio. Da non dimenticare il turismo matrimoniale degli stranieri (inglesi e tedeschi in particolare) che vengono a sposarsi in Italia — quindi anche in regione — e che rappresenta un mercato da 500 milioni di euro. Niente da fare, il 2020 non si presenta amichevole con chi vuole sposarsi: addirittura è nato sui social una specie di sindacato delle spose – le «Spose eroine» – che si batte per non rinunciare alle nozze; e perfino il governo pensa a un bonus matrimoni che però varrà nel 2021, ammesso che venga approvato. Rimane però la realtà, che si chiama denuzialità. Fin dagli anni settanta i matrimoni – soprattutto i primi matrimoni – sono in calo, un calo che sembra ormai essersi fatto inarrestabile e che fa pensare che le coppie coniugate prima o poi diventeranno minoritarie. Almeno tre le cause di questo declino. Il primo, banalmente, va imputato alla denatalità.
Denatalità che riduce progressivamen te il numero dei giovani che una volta si sarebbero detti in età da matrimonio. Il secondo invece rimanda alla disuguaglianza generazionale: secondo il Censis gli anziani hanno una ricchezza più alta del 13% di quella media degli italiani, quella dei giovani - i millennial - è inferiore del 55%. In 25 anni la ricchezza degli anziani è aumentata in termini reali del 77 %, quella dei giovani è calata del 35. Il reddito medio familiare degli anziani negli ultimi 25 anni è salito del 20 per cento, quello dei millennial è crollato del 34%. E sicuramente – come scrive il rapporto annuale dell’Istat di qualche giorno fa – tale divario la pandemia l’ha accresciuto: difficile pensare quindi che una generazione in affanno pensi più di tanto al matrimonio ed anche al far figli.
Infine il terzo motivo è riassunto in un sondaggio fatto da Demos su di un campione di abitanti del nord-est: ebbene, per 7 intervistati su 10 le coppie di fatto devono avere gli stessi diritti di quelle coniugate. Così, semplicemente. E senza grandi differenze tra chi ha diverse idee politiche; perfino tra i credenti più assidui uno su due la pensa così. Non diamo allora tutta la colpa al virus: il matrimonio, da tempo, ha perso il monopolio del creare la coppia, la famiglia, la genitorialità. Perché ormai ognuno costruisce l’architettura affettiva della propria vita nello stile che può e che vuole.