Cattedrali di roccia la bellezza delle Dolomiti
Esce «Cattedrali di roccia» Meridiani Domus racconta la bellezza delle Dolomiti E le storie di montanari creativi
Ci si può abituare alla bellezza? Se lo sono chiesto molte volte nella redazione di Meridiani, la storica rivista di viaggio della Editoriale Domus, mentre confezionavano le 150 pagine di Cattedrali di roccia, dedicato alle Dolomiti. Uscito in questi giorni in edicola, il volume delle meraviglie è un omaggio al mondo delle vette che sfidano la vista degli escursionisti e le mani degli scalatori.
Protagonisti sono i sentieri nei boschi, i laghi, le ferrovie abbandonate e le miniere arrotolate alla memoria, i masi usciti dall’archeologia del contemporaneo, gli artigiani del XXI secolo e gli incroci di lingue, alcune direttamente precipitate dal Medioevo. E poi gli odori: quelli non addomesticabili di neve e vento del nord e le piogge che scuotono le chiome di abeti, faggi, larici e castagni. Questa è la terra di Tanna, regina dei croderes. E degli orsi che rivendicano la libertà.
Le Dolomiti, stese su tre regioni e cinque province, sono la forma della vertigine, ma soprattutto il più antico ambiente marino. Prima sorpresa: «Per andare davvero al mare, bisogna venire quassù», sorride il direttore di Meridiani, Marco Casareto: «Circa 255 milioni di anni fa l’area dolomitica probabilmente assomigliava al Lago Eyre, nell’Australia Meridionale». E’ stato molto tempo dopo, circa 25 milioni di anni fa, che la frizione traumatica delle placche ha innalzato la terra e così le croste sono diventate meraviglie.
Di quell’epoca balneare sono testimoni gli oltre 20 mila esemplari di fossili marini custoditi al Museo paleontologico Rinaldo Zardini di Cortina d’Ampezzo. O la raccolta, la più grande in Italia, di fossili
Flora e fauna Alcune delle foto del volume laghi e animali invertebrati che si trova a Predazzo, al Museo geologico.
Non è la prima volta che Meridiani omaggia le Dolomiti. «A essere precisi è la quarta copertina – spiega Casareto – l’ultima è stata dieci anni fa». Cosa c’è ancora da raccontare allora? In cosa è diverso questo numero? «Siamo andati alla ricerca di storie, abbiamo dato spazio a chi ci vive, alle cose che hanno conservato e reinventato».
Da qui altre sorprese. «Spesso si è tentati di descriverne solo il paesaggio naturale mozzafiato, ma spesso non si conosce il paesaggio umano e le tante imprese che rendono questi luoghi vibranti e niente affatto abbandonati». Quello che più colpisce, allora, continua Casareto, sono «i tanti giovani che magari vanno a studiare e a formarsi all’estero e poi tornano qui, portando quello che hanno imparato e mettendolo a frutto, dal marketing alla tecnologia, la gestione d’impresa e la creatività».
E così scopriamo Josef e Andreas, 29 anni, che ad Aldino hanno aperto l’azienda agricola Kirnig, dove producono funghi bio per il mercato on-line. Rosy, Silvester e Janine, invece, nel maso Wolkenhof, coltivano il lupino: era famoso un tempo come il caffè della penuria, durante la guerra, e ora è diventato cool. Judith Sotriffer nel suo atelier di Ortisei, ha invece rilanciato la bambola gardenese, facendola diventare un oggetto di culto. E ancora: Agitu Ideo Gudeta, etiope trapiantata in Trentino, è famosa per le sue «capre felici» dal cui latte ottiene un pregiato formaggio bio. Oskar Messner, invece, ha ridato lustro alla «Villnösser brillenschaf», la più rock tra le pecore, con gli occhi cerchiati da grandi macchie nere e diventata presidio Slow Food.
I gelatieri zoldani: pochi sanno che sono stati i montanari bellunesi, abituati a fine ‘800 a vendere per strada con il loro carretti cialde e caldarroste, a proporre i gelati d’estate, le creme squisite di latte d’alpeggio e uova. E chi, se non un cadorino, tale Pietro Marchioni, si è presentato un giorno del 1903 all’ufficio brevetti di Washington per assicurare i suoi coni e le sue cialde? Dai vanti storici alla new economy: a Luson, gli Hinteregger hanno trasformato una tradizionale guest house in una moderna e lussuosa «Familienhotel».
Marco Casareto ne è convinto: «Sono soprattutto loro e gli altri che siamo riusciti a raccontare a fare delle Dolomiti un luogo ancora tutto da scoprire». Alla fine, la risposta è no: non ci si può abituare alla bellezza.