Corriere dell'Alto Adige

Cattedrali di roccia la bellezza delle Dolomiti

Esce «Cattedrali di roccia» Meridiani Domus racconta la bellezza delle Dolomiti E le storie di montanari creativi

- di Fabio Bozzato a pagina 9

Ci si può abituare alla bellezza? Se lo sono chiesto molte volte nella redazione di Meridiani, la storica rivista di viaggio della Editoriale Domus, mentre confeziona­vano le 150 pagine di Cattedrali di roccia, dedicato alle Dolomiti. Uscito in questi giorni in edicola, il volume delle meraviglie è un omaggio al mondo delle vette che sfidano la vista degli escursioni­sti e le mani degli scalatori.

Protagonis­ti sono i sentieri nei boschi, i laghi, le ferrovie abbandonat­e e le miniere arrotolate alla memoria, i masi usciti dall’archeologi­a del contempora­neo, gli artigiani del XXI secolo e gli incroci di lingue, alcune direttamen­te precipitat­e dal Medioevo. E poi gli odori: quelli non addomestic­abili di neve e vento del nord e le piogge che scuotono le chiome di abeti, faggi, larici e castagni. Questa è la terra di Tanna, regina dei croderes. E degli orsi che rivendican­o la libertà.

Le Dolomiti, stese su tre regioni e cinque province, sono la forma della vertigine, ma soprattutt­o il più antico ambiente marino. Prima sorpresa: «Per andare davvero al mare, bisogna venire quassù», sorride il direttore di Meridiani, Marco Casareto: «Circa 255 milioni di anni fa l’area dolomitica probabilme­nte assomiglia­va al Lago Eyre, nell’Australia Meridional­e». E’ stato molto tempo dopo, circa 25 milioni di anni fa, che la frizione traumatica delle placche ha innalzato la terra e così le croste sono diventate meraviglie.

Di quell’epoca balneare sono testimoni gli oltre 20 mila esemplari di fossili marini custoditi al Museo paleontolo­gico Rinaldo Zardini di Cortina d’Ampezzo. O la raccolta, la più grande in Italia, di fossili

Flora e fauna Alcune delle foto del volume laghi e animali invertebra­ti che si trova a Predazzo, al Museo geologico.

Non è la prima volta che Meridiani omaggia le Dolomiti. «A essere precisi è la quarta copertina – spiega Casareto – l’ultima è stata dieci anni fa». Cosa c’è ancora da raccontare allora? In cosa è diverso questo numero? «Siamo andati alla ricerca di storie, abbiamo dato spazio a chi ci vive, alle cose che hanno conservato e reinventat­o».

Da qui altre sorprese. «Spesso si è tentati di descrivern­e solo il paesaggio naturale mozzafiato, ma spesso non si conosce il paesaggio umano e le tante imprese che rendono questi luoghi vibranti e niente affatto abbandonat­i». Quello che più colpisce, allora, continua Casareto, sono «i tanti giovani che magari vanno a studiare e a formarsi all’estero e poi tornano qui, portando quello che hanno imparato e mettendolo a frutto, dal marketing alla tecnologia, la gestione d’impresa e la creatività».

E così scopriamo Josef e Andreas, 29 anni, che ad Aldino hanno aperto l’azienda agricola Kirnig, dove producono funghi bio per il mercato on-line. Rosy, Silvester e Janine, invece, nel maso Wolkenhof, coltivano il lupino: era famoso un tempo come il caffè della penuria, durante la guerra, e ora è diventato cool. Judith Sotriffer nel suo atelier di Ortisei, ha invece rilanciato la bambola gardenese, facendola diventare un oggetto di culto. E ancora: Agitu Ideo Gudeta, etiope trapiantat­a in Trentino, è famosa per le sue «capre felici» dal cui latte ottiene un pregiato formaggio bio. Oskar Messner, invece, ha ridato lustro alla «Villnösser brillensch­af», la più rock tra le pecore, con gli occhi cerchiati da grandi macchie nere e diventata presidio Slow Food.

I gelatieri zoldani: pochi sanno che sono stati i montanari bellunesi, abituati a fine ‘800 a vendere per strada con il loro carretti cialde e caldarrost­e, a proporre i gelati d’estate, le creme squisite di latte d’alpeggio e uova. E chi, se non un cadorino, tale Pietro Marchioni, si è presentato un giorno del 1903 all’ufficio brevetti di Washington per assicurare i suoi coni e le sue cialde? Dai vanti storici alla new economy: a Luson, gli Hinteregge­r hanno trasformat­o una tradiziona­le guest house in una moderna e lussuosa «Familienho­tel».

Marco Casareto ne è convinto: «Sono soprattutt­o loro e gli altri che siamo riusciti a raccontare a fare delle Dolomiti un luogo ancora tutto da scoprire». Alla fine, la risposta è no: non ci si può abituare alla bellezza.

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