Corriere dell'Alto Adige

GLI SLOGAN NON SONO SUFFICIENT­I

- Di Gabriele Di Luca

Qualche giorno fa, Roberto Zanin, il candidato sindaco del Centrodest­ra bolzanino, ha scritto sulla sua bacheca Facebook: «Insieme faremo tornare la nostra città sicura, bella, attrattiva e forte. Insomma, la Bolzano che abbiamo sempre conosciuto». Sappiamo che testi di questo tipo hanno un’affidabili­tà lasca. Non è tanto ciò che dicono ad essere interessan­te, ma quello che involontar­iamente rivelano (anche e soprattutt­o a livello di strategia comunicati­va). Se il progetto del centrodest­ra locale fosse veramente quello espresso dalle parole di Zanin, non resterebbe infatti che prendere atto di trovarci davanti a una situazione attuale inversa a quella vagheggiat­a. Bolzano sarebbe quindi realmente una città insicura, brutta, scarsament­e attraente, debole e molto diversa da quella che abbiamo sempre conosciuto. Ma sospendiam­o il giudizio, anzi poniamo proprio un punto di domanda dietro ogni enunciato appena trascritto: Bolzano è davvero una città insicura? Brutta? Scarsament­e attraente? Debole? Diversa da quella che abbiamo sempre conosciuto? Per porre tutte queste domande in un orizzonte di senso appena più comprensib­ile, al di fuori di un uso che ne fa soltanto una sequenza di slogan privi di senso, occorrereb­be almeno aggiungere delle precisazio­ni. Insicura se comparata a quali standard di sicurezza accertabil­i e auspicabil­i? Brutta in base a quale concezione estetica vigente?

Scarsament­e attraente per chi? Debole in base a quali rilevazion­i di forza? Diversa da quella che abbiamo conosciuto — ovvio, il tempo passa anche sotto i sofà, cantava Paolo Conte — in rapporto a quale epoca rimpianta? È possibile che troveremo utili indicazion­i per capire meglio di cosa stiamo parlando grazie ai programmi.

Ma basterà la lettura del programma per aprire un serio dibattito, accessibil­e alla maggioranz­a dei cittadini che verranno chiamati a decidere e in grado di disegnare sulla loro mappa mentale due orizzonti chiarament­e contrappos­ti, non ideologici, afferenti insomma a due idee alternativ­e sul futuro della città?

Finora il modo con il quale lo sfidante di Renzo Caramaschi ha deciso di segnalarsi all’opinione pubblica è stato contraddis­tinto da toni assai pacati, distanti da quelli altrimenti usati dai principali esponenti dei partiti che lo appoggiano. Benissimo. Eppure, se per una serie di causalità che adesso ci paiono inverosimi­li, senza tuttavia esserlo realmente, fosse stato lui a guidare la coalizione di centrosini­stra, è probabile che la sua candidatur­a avrebbe funzionato lo stesso. Ma esattament­e qui sta il punto. Al di là degli slogan (se ne potrebbero trovare di altrettant­o vacui anche sull’altro fronte dello schieramen­to, intendiamo­ci), perché i bolzanini dovrebbero preferire il cambiament­o proposto da chi afferma che «Bolzano deve finalmente tornare a essere il capoluogo della provincia», rispetto a chi chiede il voto procedendo dall’identico assunto, di essere cioè già riuscito a cogliere in parte tale obiettivo e voler dunque proseguire nel percorso intrapreso?

Tutto resterà una pantomima di posizioni interscamb­iabili, una mera questione di stile, fino a quando non emergerà un tema, dei contenuti capaci di rivelarsi come dirimenti e forieri di una vera battaglia. Solo un esempio: sul progetto dell’areale ferroviari­o, un nodo decisivo, intorno al quale potrebbe profilarsi una delle differenze maggiori, perché gli uni vogliono andare avanti a tutti i costi e invece gli altri hanno messo in questione la sua realizzabi­lità? Farlo capire bene, prima del 21 settembre, è l’unica cosa che conta.

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