QUEL BIVIO E L’OBBLIGO MORALE
Nella settimana post-ferragostana piombano le statistiche a rovinare la pausa di chi ha potuto permettersela. La Camera di commercio di Trento comunica che, nel secondo trimestre dell’anno, il fatturato complessivo delle imprese è calato del 29,6 per cento, le ore lavorate del 18,3 per cento. E il futuro promette nulla di buono visti gli ordinativi in flessione sia per il commercio all’ingrosso, sia per il manifatturiero; a vedere un po’ di luce è soltanto l’edilizia grazie al super ecobonus per le ristrutturazioni. Commenta il presidente Gianni Bort: «Più di tre quarti delle aziende dichiara di lavorare in un contesto di attività/ operatività inferiore rispetto a una situazione di normalità». Quanto all’Alto Adige/Südtirol, il barometro dell’Ipl ci rivela come nel trimestre da aprile a giugno i lavoratori dipendenti siano diminuiti del 6,9 per cento, mentre la falce si è abbattuta sui contratti a tempo determinato, scesi del 31,6% nel raffronto con lo stesso periodo del 2019. Il sentiment degli occupati è meno pessimista di quanto era nel primo trimestre, ma rimane comunque «molto negativo»: solo nel comparto agricolo e, ovviamente, nel pubblico impiego c’è una certa serenità. D’altronde, se i consumi pro capite precipitano in un anno di quasi duemila euro (fonte Confcommercio), non c’è spazio per le illusioni. Uscire dalla crisi non sarà facile, ma ci riusciremo se ognuno farà la propria parte. Bonus, sussidi, incentivi sono necessari, sarebbe però sbagliato guardare a essi come l’unica medicina.
Servono a tamponare l’emorragia e avere il tempo di ridefinire i progetti, poiché la pandemia ha mutato molti comportamenti e molti paradigmi, senza contare che con il Covid dovremo ancora convivere per un periodo a oggi indefinito. Difronte a fenomeni mondiali, la singola persona spesso si sente disarmata invece non lo è. Se posso azzardare un parallelismo con un passato assai più tragico, vorrei richiamare ciò che ha scritto Daniel Mendelsohn in «Gli scomparsi» (libro edito da Neri Pozza): «Tutto quel che accadde fu possibile perché qualcuno, un individuo, prese una decisione. (…) L’Olocausto è un evento di tale portata, di dimensioni così gigantesche, smisurate, da indurci a ritenerlo una sorta di meccanismo impersonale, anonimo. Ma gli eventi furono determinati da decisioni di esseri umani. Tirare un grilletto, azionare un interruttore, chiudere la porta di un carro bestiame, nascondere, tradire».
Tornando a noi, è giusto richiamare le istituzioni a usare tutte le leve in grado di favorire la ripartenza, purché non serva da alibi per sottrarsi alle proprie responsabilità. Che riguardano anche il dovere di ripensare le nostre attività alla luce del contesto attuale.Con una simile premessa, è doveroso chiedere a ogni livello di governo di abbandonare la demagogia e gli interessi di fazione, per predisporre piani di rilancio coraggiosi (che poi, ne sono sicuro, ripagheranno pure in termini elettorali). Marta Cartabia, presidente della Corte costituzionale, ha indicato la giusta rotta l’altro giorno ricordando la figura di Alcide Degasperi, uno statista «forgiato alla complessità del reale, al senso del limite e, allo stesso tempo, all’apertura verso gli ampi orizzonti che ogni frontiera comporta». L’illustre giurista ha parlato di realismo lungimirante animato da grandi ideali e credo che sia la sintesi perfetta di quanto, oggi più che mai, deve guidare la politica. «Ricostruzione non è restaurazione, conservare puramente l’esistente — ha concluso Cartabia — ma non è nemmeno un cambiamento radicale, una palingenesi. Ricostruzione è la capacità di innovare a partire sempre dal dato di realtà e con un metodo che sa aggregare forze diverse che pensano anche diversamente tra loro». Francamente, dal «popolo» alle «élite», troppi segnali fanno temere come non sia compresa la necessità di una svolta nelle linee di condotta. Eppure, qualche timida fiammella di buon senso appare qui e là: ognuno di noi ha l’obbligo morale di alimentarla, perché siamo a un bivio fondamentale che deciderà il futuro nostro e, soprattutto, delle generazioni più giovani.