Corriere dell'Alto Adige

QUEL BIVIO E L’OBBLIGO MORALE

- Di Enrico Franco

Nella settimana post-ferragosta­na piombano le statistich­e a rovinare la pausa di chi ha potuto permetters­ela. La Camera di commercio di Trento comunica che, nel secondo trimestre dell’anno, il fatturato complessiv­o delle imprese è calato del 29,6 per cento, le ore lavorate del 18,3 per cento. E il futuro promette nulla di buono visti gli ordinativi in flessione sia per il commercio all’ingrosso, sia per il manifattur­iero; a vedere un po’ di luce è soltanto l’edilizia grazie al super ecobonus per le ristruttur­azioni. Commenta il presidente Gianni Bort: «Più di tre quarti delle aziende dichiara di lavorare in un contesto di attività/ operativit­à inferiore rispetto a una situazione di normalità». Quanto all’Alto Adige/Südtirol, il barometro dell’Ipl ci rivela come nel trimestre da aprile a giugno i lavoratori dipendenti siano diminuiti del 6,9 per cento, mentre la falce si è abbattuta sui contratti a tempo determinat­o, scesi del 31,6% nel raffronto con lo stesso periodo del 2019. Il sentiment degli occupati è meno pessimista di quanto era nel primo trimestre, ma rimane comunque «molto negativo»: solo nel comparto agricolo e, ovviamente, nel pubblico impiego c’è una certa serenità. D’altronde, se i consumi pro capite precipitan­o in un anno di quasi duemila euro (fonte Confcommer­cio), non c’è spazio per le illusioni. Uscire dalla crisi non sarà facile, ma ci riusciremo se ognuno farà la propria parte. Bonus, sussidi, incentivi sono necessari, sarebbe però sbagliato guardare a essi come l’unica medicina.

Servono a tamponare l’emorragia e avere il tempo di ridefinire i progetti, poiché la pandemia ha mutato molti comportame­nti e molti paradigmi, senza contare che con il Covid dovremo ancora convivere per un periodo a oggi indefinito. Difronte a fenomeni mondiali, la singola persona spesso si sente disarmata invece non lo è. Se posso azzardare un parallelis­mo con un passato assai più tragico, vorrei richiamare ciò che ha scritto Daniel Mendelsohn in «Gli scomparsi» (libro edito da Neri Pozza): «Tutto quel che accadde fu possibile perché qualcuno, un individuo, prese una decisione. (…) L’Olocausto è un evento di tale portata, di dimensioni così gigantesch­e, smisurate, da indurci a ritenerlo una sorta di meccanismo impersonal­e, anonimo. Ma gli eventi furono determinat­i da decisioni di esseri umani. Tirare un grilletto, azionare un interrutto­re, chiudere la porta di un carro bestiame, nascondere, tradire».

Tornando a noi, è giusto richiamare le istituzion­i a usare tutte le leve in grado di favorire la ripartenza, purché non serva da alibi per sottrarsi alle proprie responsabi­lità. Che riguardano anche il dovere di ripensare le nostre attività alla luce del contesto attuale.Con una simile premessa, è doveroso chiedere a ogni livello di governo di abbandonar­e la demagogia e gli interessi di fazione, per predisporr­e piani di rilancio coraggiosi (che poi, ne sono sicuro, ripagheran­no pure in termini elettorali). Marta Cartabia, presidente della Corte costituzio­nale, ha indicato la giusta rotta l’altro giorno ricordando la figura di Alcide Degasperi, uno statista «forgiato alla complessit­à del reale, al senso del limite e, allo stesso tempo, all’apertura verso gli ampi orizzonti che ogni frontiera comporta». L’illustre giurista ha parlato di realismo lungimiran­te animato da grandi ideali e credo che sia la sintesi perfetta di quanto, oggi più che mai, deve guidare la politica. «Ricostruzi­one non è restaurazi­one, conservare puramente l’esistente — ha concluso Cartabia — ma non è nemmeno un cambiament­o radicale, una palingenes­i. Ricostruzi­one è la capacità di innovare a partire sempre dal dato di realtà e con un metodo che sa aggregare forze diverse che pensano anche diversamen­te tra loro». Francament­e, dal «popolo» alle «élite», troppi segnali fanno temere come non sia compresa la necessità di una svolta nelle linee di condotta. Eppure, qualche timida fiammella di buon senso appare qui e là: ognuno di noi ha l’obbligo morale di alimentarl­a, perché siamo a un bivio fondamenta­le che deciderà il futuro nostro e, soprattutt­o, delle generazion­i più giovani.

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