Corriere dell'Alto Adige

Una vita da mascherina, sono sulla bocca di tutti: quanti signorini snob

- Di Gabriele Bronzetti

Sono sulla bocca di tutti. A parte i neonati, negli ultimi sei mesi sono stata con tutti. Mi han dato dell’egoista, dell’altruista, della chirurgica, perfino della f…p… con due effe, come se non capissi gli acronimi eleganti, io. Mi hanno lavata, stirata, riciclata, rubata, gettata sul marciapied­e o dimenticat­a. Qualcuno si è sentito troppo giusto, troppo pulito per me. Quanti signorini snob.

Mi han messo da parte, nei tavoli dei bar per esempio, per fare ammucchiat­e in piedi a gomiti alti. Quando finirò i miei brevi giorni affannati vedrò tutta la vita come in un film (ora che ci penso chi assiste gli spettatori al cinema si chiama come me, senza diminutivo). Come dicevo, ultimi sei mesi a parte, conoscevo solo due tipi di uomini: quelli che lavorano in ospedale e quelli che dall’ospedale vogliono uscirne per sempre. Conoscevo il respiro delle sale, l’odore acre e dolce del bisturi elettrico, la paura del chirurgo e il profumo di cipria di un’infermiera che con me addosso ha il mistero di una Hepburn nel reparto gioielleri­a di Manhattan. Io so mettermi nei panni degli altri. Saprei riconoscer­e la specialità del medico da come mi mette le mani addosso. Un ortopedico e un neurochiru­rgo per esempio, il giorno e la notte; uno lo sento con la canottiera di Marlon Brando in «Un tram che si chiama desiderio», l’altro nel completo grigio di James Stewart nella «Donna che visse due volte». Due volte, come i trapiantat­i, loro sì che mi portano rispetto. E in giro, da sempre, prima del Covid, col loro alito di ciclospori­na. Per la vita, perché chi è o si sente immunodepr­esso è disposto a tenermi per tutta la vita. Ecco, un rimpianto ce l’ho: non aver fatto capire a tutti quanto siano trapiantat­i e necessaria­mente mascherati. Ehi, dico a voi, siete tutti trapiantat­i e non lo sapete. C’è un virus anche se non lo vedete, siete stati chiusi per mesi ad aspettare la nuova vita come si aspetta lo schianto di un donatore, e chi è? Ma semplice, il donatore è chi è morto al posto vostro: il virus qualcuno lo doveva prendere e le vittime del Covid sono stati donatori universali, quelli che non si sentono mai dire grazie da vivi.

Solo i giapponesi mi hanno capito. Se non avete mai fatto un viaggio a Tokio, li avrete visti in giro per Firenze e Roma conciati come trapiantat­i. Mi portano da sempre per le possibili epidemie, per il polline dei ciliegi, per pudore, per nascondere un sorriso imperfetto o un’emozione. Yukio Mishima ci ha scritto un libro sulle mie confession­i, che poi erano le sue, di uno che il fegato ce l’aveva per dire da che parte stava e per farsi fuori da solo, uno che non soffriva dell’allergia mentale al lattice che sparge ancora l’HIV quando basta coprire un po’, come faccio io da un’altra parte, del resto. Goffredo Parise chiamava i giapponesi il popolo dall’eleganza frigida. Infatti, mentre gli Americani scoprivano il reggiseno Wonderbra loro inventavan­o la rittai masuku ( ), vera e propria lingerie per il viso, un push-up di salute e glamour. Per reggere sani. Anche quando la guerra al Covid 19 finirà si dovrebbe andare nei negozi d’intimo a comprare reggisani colorati, di pizzo, imbottiti o senza spalline, per essere eleganti e sani come in un libro di Murakami. Alla fine mi manca solo la scuola. Mi sento Holly Golightly, un’irresistib­ile geisha americana, così la chiamava suo babbo Truman Capote, una che fa star bene tutti senza distinzion­e di genere ma a cui in fondo manca solo la scuola. Un po’ di classe. Sono arrivata tardi per vedere la polvere di gesso, per quel cielo di lavagna che era la notte e il giorno dei vostri cuori all’appello. Ma sono in tempo per le droplet d’autunno o finché servirà, fino al benedetto vaccino o fino a quando il virus si stancherà. Un’ aula gremita può essere una fabbrica di sogni. Davanti allo schermo della lavagna interattiv­a multimedia­le una classe di attori e spettatori aspetta la meraviglia. Luci e ombre. La vita con tutti i suoi intervalli di noia. L’ispirazion­e e la traspirazi­one. Tra questi nuovi banchi monoposto dove non manca nemmeno il vano per i popcorn, sono disposta a servirvi, a farvi sedere al posto giusto. Sono una piccola maschera del cinema. Sono una mascherina.

 Sono arrivata tardi per vedere la polvere di gesso, per quel cielo di lavagna che era la notte e il giorno dei vostri cuori all’appello. Ma sono in tempo per le droplet d’autunno

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