FIDUCIA, CAPITALE SOCIALE
Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Un proverbio antichissimo, che trasuda una paura di sempre, quella di essere traditi o semplicemente delusi. E sembra essere anche un sentimento collettivo oggi diffuso. Lo dicono – mettendola sui numeri – due indagini diverse: per l’Istat solo il 26 per cento delle persone che abitano nel Nordest pensano che «gran parte della gente è degna di fiducia». Per Demos&Pi invece è il 36 per cento di chi abita in Veneto, Friuli e Trento a ritenere degna di fiducia gran parte delle persone. Non ha molta importanza sottolineare la diversità delle due percentuali; che piuttosto richiamano tre osservazioni di fondo. La prima è che sono entrambe percentuali basse, minoritarie. Davvero, per i più, non fidarsi è meglio: il proverbio si fa verità sociologica. Eppure la fiducia – che deriva da fede, come fidanzamento e fedeltà, guarda caso tutte parole oggi in crisi – è un vero e proprio capitale sociale che rende possibili le relazioni e la loro tenuta. È la fiducia che dà senso ai legami che tessono il nostro stare insieme. Infatti – dice la ricerca di Demos&Pi – tra chi ha fiducia c’è un maggiore senso di speranza, mentre la non fiducia porta a sentimenti di incertezza. E non può essere che così. In effetti la nostra è da tempo una società sfiduciata e «sfiduciosa», che oscilla senza coerenza tra il credere a tutto o a niente. Nel mondo dei sentimenti come in quello della politica, nell’ambito dell’economia (e soprattutto della finanza).