Case pubbliche, bocciata la norma dei 10 anni
Dopo orsi e chiusure domenicali dei negozi, i giudici bocciano ancora la giunta Fugatti. Sale la tensione
TRENTO Palazzo Chigi non si era mosso. «È una vittoria politica», aveva esultato il governatore Maurizio Fugatti commentando la mancata impugnazione dell’articolato. Partita chiusa, così sembrava, anche se la norma «simbolo» della governance leghista politicamente aveva sollevato un vero polverone. Ma la giunta aveva tirato dritto e neppure le sentenze della Consulta, che avevano bocciato le norme di Liguria e Valle d’Aosta, avevano frenato Fugatti. Ora lo stop arriva dal palazzo di giustizia. Un’altra bocciatura del governo Fugatti da parte dei giudici. Dopo l’orso e la pronuncia del Tar sulle chiusure domenicali dei negozi, il Tribunale del lavoro stoppa la legge provinciale 5 del 2019, che ha modificato gli articoli 3 e 5 della legge provinciale 15 del 2005 introducendo il requisito dei dieci anni di residenza in Italia per accedere agli alloggi pubblici Itea e ai contributi economici per il pagamento dei canoni. Il giudice del lavoro Giorgio Flaim ieri ha firmato un’ordinanza con la quale intima alla Provincia di Trento e al Comune di disapplicare la norma «affinché sia cessata — scrive il magistrato — la condotta discriminatoria», accogliendo il ricorso presentato da un cittadino etiope rappresentato dagli avvocati Giovanni Guarini e Alberto Guariso. Secondo il giudice, che ha ritenuto superfluo anche il rinvio alla Corte Costituzionale, «in ragione della sua durata decennale il requisito della residenza richiesto costituisce un mezzo sproporzionato rispetto al perseguimento della finalità di evitare avvicendamenti troppo rapidi tra conduttori». In sintesi se l’obiettivo era quello di evitare troppi avvicendamenti non è certo questa la strada ad avviso del Tribunale che condanna la Provincia e il Comune a pagare 50 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordinanza. Nel provvedimento il giudice evidenzia gli effetti discriminatori della norma che di fatto escludeva molti cittadini stranieri anche se da tempo inseriti nel contesto nazionale e trentino e in palese contrasto con la direttiva dell’Unione europea 109 del 2003. L’attivista antirazzista etiope avrà quindi diritto all’alloggio Itea e, come stabilito dal giudice, dovrà essere inserito in graduatoria a partire dal 30 settembre 2019, giorno in cui aveva presentato la domanda, poi dichiarata inammissibile da Palazzo
Thun. Il Comune si era limitato a recepire la norma provinciale. Ma il cittadino etiope, affiancato dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), aveva deciso di impugnare la norma sul requisito «discriminatorio». Secondo la Provincia il requisito dei dieci anni di residenza sul territorio nazionale andava introdotto in analogia con le norme sul reddito di cittadinanza, ma nel ricorso i ricorrenti hanno contestato l’illogicità di richiedere un requisito di lungo-residenza sul territorio nazionale per una prestazione di carattere provinciale. Tesi condivisa dal giudice che ha accolto il ricorso di fatto spianando la strada ad altri cittadini stranieri. «Un passo in avanti molto importante» spiega il ricorrente. La Provincia farà ricorso.