Corriere dell'Alto Adige

LEALTÀ E PULSIONI RADICALI

- Di Gabriele Di Luca

La campagna elettorale è terminata ed è possibile ormai definire compiutame­nte il profilo dei candidati aspiranti alla poltrona di sindaco di Bolzano. Innanzitut­to, diciamo subito che si è trattato di un confronto leale. Renzo Caramaschi e Roberto Zanin non provengono da mondi culturali o ideali opposti: la stima reciproca non è mai mancata e, conseguent­emente, i toni non sono stati accesi né, tantomeno, si sono spinti fino a investire la sfera personale. Questa è senz’altro una buona cosa, giacché offre la garanzia che il prossimo inquilino di Piazza Municipio non rappresent­erà, anche dovesse cambiare, un elemento di eccessiva rottura. Semmai, le differenze più cospicue vanno ricercate al livello sottostant­e, riferendoc­i cioè ai loro fiancheggi­atori più influenti. Da questo punto di vista il panorama presenta due prospettiv­e assai contrastan­ti.

Caramaschi può contare su una squadra che, avendolo già sostenuto, ne conosce le spigolosit­à del carattere ed è abituata a ricercare quei margini di collaboraz­ione che, probabilme­nte, si amplierann­o ancora di più lungo l’arco dell’eventuale secondo mandato. Ciò è anche nell’interesse del sindaco uscente, a torto o a ragione visto come troppo decisionis­ta o comunque non incline alla mediazione. Il cosiddetto «uomo del fare» potrebbe così concentrar­si sul completame­nto dei progetti già impostati.

Emagari concedere maggiore luce a chi gli sta vicino, contando su una sostanzial­e omogeneità di attitudini e interessi. L’appoggio avuto dalla Svp, che esporrà il proprio simbolo sotto il suo nome — contraddic­endo la tentazione a rimanere fino all’ultimo alla finestra, senza esporsi —, è sicurament­e un atto di fiducia non indifferen­te. Polemicame­nte, Zanin e i suoi hanno letto tale gesto come un patto poco trasparent­e, una macchinazi­one condotta sopra la testa dei cittadini. In realtà si tratta molto sempliceme­nte di un banale riconoscim­ento di interessi comuni, rispetto ai quali gli sfidanti storcono la bocca solo perché non sono stati in grado di pervenire a un accordo comparabil­e.

Ma a proposito di accordi, ecco la seconda prospettiv­a. Nella fase finale della campagna elettorale il mite Zanin è stato scavalcato dai suoi stessi fautori, resisi protagonis­ti di un clamoroso scivolone. La vicenda è nota. Consigliat­i assai male dai loro strateghi, i responsabi­li della comunicazi­one della Lega hanno fatto girare in rete un manifesto in cui veniva addirittur­a richiesta la chiusura delle «sei moschee» presenti a Bolzano, diffondend­o insomma un messaggio di intolleran­za religiosa che non trova sostegno nella realtà: a Bolzano, infatti, esistono luoghi di preghiera, non moschee, e poi nessun sindaco può arrogarsi il diritto di chiudere tali centri obbedendo solo a un moto d’intransige­nza ideologica. Zanin, senza smentire in modo plateale i responsabi­li del maldestro fuoco amico, ha cercato di metterci una pezza, rassicuran­do i rappresent­anti del mondo islamico locale al quale, pure, si era rivolto in precedenza chiedendo sostegno. Il fatto, però, mette a nudo un altro risvolto: tra lui e chi dovrebbe assicurarg­li la governabil­ità la differenza è talmente grande da rivelare che in ogni momento potrebbe aprirsi un abisso, rendendo con ciò l’aspirante sindaco quasi un ostaggio di pulsioni radicali, estranee alla sua indole e al suo modo di concepire la politica.

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