LEALTÀ E PULSIONI RADICALI
La campagna elettorale è terminata ed è possibile ormai definire compiutamente il profilo dei candidati aspiranti alla poltrona di sindaco di Bolzano. Innanzitutto, diciamo subito che si è trattato di un confronto leale. Renzo Caramaschi e Roberto Zanin non provengono da mondi culturali o ideali opposti: la stima reciproca non è mai mancata e, conseguentemente, i toni non sono stati accesi né, tantomeno, si sono spinti fino a investire la sfera personale. Questa è senz’altro una buona cosa, giacché offre la garanzia che il prossimo inquilino di Piazza Municipio non rappresenterà, anche dovesse cambiare, un elemento di eccessiva rottura. Semmai, le differenze più cospicue vanno ricercate al livello sottostante, riferendoci cioè ai loro fiancheggiatori più influenti. Da questo punto di vista il panorama presenta due prospettive assai contrastanti.
Caramaschi può contare su una squadra che, avendolo già sostenuto, ne conosce le spigolosità del carattere ed è abituata a ricercare quei margini di collaborazione che, probabilmente, si amplieranno ancora di più lungo l’arco dell’eventuale secondo mandato. Ciò è anche nell’interesse del sindaco uscente, a torto o a ragione visto come troppo decisionista o comunque non incline alla mediazione. Il cosiddetto «uomo del fare» potrebbe così concentrarsi sul completamento dei progetti già impostati.
Emagari concedere maggiore luce a chi gli sta vicino, contando su una sostanziale omogeneità di attitudini e interessi. L’appoggio avuto dalla Svp, che esporrà il proprio simbolo sotto il suo nome — contraddicendo la tentazione a rimanere fino all’ultimo alla finestra, senza esporsi —, è sicuramente un atto di fiducia non indifferente. Polemicamente, Zanin e i suoi hanno letto tale gesto come un patto poco trasparente, una macchinazione condotta sopra la testa dei cittadini. In realtà si tratta molto semplicemente di un banale riconoscimento di interessi comuni, rispetto ai quali gli sfidanti storcono la bocca solo perché non sono stati in grado di pervenire a un accordo comparabile.
Ma a proposito di accordi, ecco la seconda prospettiva. Nella fase finale della campagna elettorale il mite Zanin è stato scavalcato dai suoi stessi fautori, resisi protagonisti di un clamoroso scivolone. La vicenda è nota. Consigliati assai male dai loro strateghi, i responsabili della comunicazione della Lega hanno fatto girare in rete un manifesto in cui veniva addirittura richiesta la chiusura delle «sei moschee» presenti a Bolzano, diffondendo insomma un messaggio di intolleranza religiosa che non trova sostegno nella realtà: a Bolzano, infatti, esistono luoghi di preghiera, non moschee, e poi nessun sindaco può arrogarsi il diritto di chiudere tali centri obbedendo solo a un moto d’intransigenza ideologica. Zanin, senza smentire in modo plateale i responsabili del maldestro fuoco amico, ha cercato di metterci una pezza, rassicurando i rappresentanti del mondo islamico locale al quale, pure, si era rivolto in precedenza chiedendo sostegno. Il fatto, però, mette a nudo un altro risvolto: tra lui e chi dovrebbe assicurargli la governabilità la differenza è talmente grande da rivelare che in ogni momento potrebbe aprirsi un abisso, rendendo con ciò l’aspirante sindaco quasi un ostaggio di pulsioni radicali, estranee alla sua indole e al suo modo di concepire la politica.