Corriere dell'Alto Adige

I POTERI AL TEMPO DEL COVID

- Di Alessandro Russello

Il copione è del tutto italiano. Fra politica e popolo, solo grazie alle emergenze spesso legiferiam­o, reagiamo e in qualche modo ci salviamo. Obbedienti e riluttanti, civili e incoscient­i, nel complesso procediamo come le macchine che parcheggia­no «a orecchio». Un colpetto qua e un colpetto là, con danno minimo e ricerca del massimo risultato. In questo caso ci voleva il Covid per porre con forza a livello nazionale il «sopito» rapporto fra Potere centrale e Territori, Stato e Regioni o Province speciali e Comuni.

Più soggetti, più poteri. Nella stessa direzione ma concorrent­i. Mai come ora protagonis­ti nella sfida decisional­e. Tutti garantiti dalla dialettica costituzio­nale ma combattivi in quella politica che – non senza mediazioni - fa sempre più ricorso ad uno «scontro» istituzion­ale fatto di impugnazio­ni e appelli all’Alta Corte. Se lo Stato mette sul piatto le clausole di supremazia e legifera nei periodi d’emergenza dettando le linee di indirizzo generali, non meno fanno, nel loro nuovo protagonis­mo, presidenti delle Regioni e sindaci. Dai quali sale la richiesta di un «federalism­o sanitario» dall’alto (o dal basso) della vicinanza con i cittadini, gli ospedali, le associazio­ni, le imprese, il welfare.

Il Nordest, questa dialettica, la vive più di tutti e in modo «radicale». Dalle autonomie speciali e più compiute di Bolzano e Trento a quelle inseguite seppur con diverse sensibilit­à dal Veneto e dall’Emilia Romagna. Negli oltre otto mesi di emergenza virus - in un’epidemia fatta di morte e malattia sanitaria ed economica - abbiamo assistito a diktat, confronti, strappi e vicendevol­i riallineam­enti. A cominciare dal protagonis­mo di Arno Kompatsche­r, che per primo in Italia firmò l’ordinanza per la riapertura di bar e ristoranti anticipand­o di alcuni giorni quella del governo, che si rimangiò la minaccia di impugnazio­ne per poi decretare la riapertura erga omnes. Per continuare con il governator­e Fugatti, che anticipò la riapertura dei cantieri trentini. E così è stato con Zaia in Veneto, dove parrucchie­ri ed estetisti sono tornati per primi nei loro negozi o dove la stagione dell’Arena ha inaugurato la presenza, seppur molto ridotta, degli spettatori. Stesso copione in Emilia, dove all’inizio del campionato di calcio Bonaccini ha aperto gli stadi ai tifosi. Anche qui uno «strappo», dato che la linea del governo è sempre stata quella di tollerare solo ordinanze restrittiv­e e non più liberali rispetto ai Dpcm. Con una costante: tutti questi ministrapp­i sarebbero stati più o meno «concordati» con Roma, quasi le Regioni fossero avamposti dove sperimenta­re nuove condotte in virtù dell’ascolto della voce dei territori. E il luogo di «contrattaz­ione» - a parte le singole interlocuz­ioni con il governo è stata la Conferenza Stato-Regioni, guarda caso guidata dal dem Bonaccini e diventata una sorta di «terza Camera» . Ieri stesso c’è stato l’ennesimo confronto, stavolta sull’utilizzo delle mascherine anche all’aperto, peraltro già rese obbligator­ie nel weekend in comuni come Bologna o in Regioni come

Puglia e Marche. Roma è arrivata «alla fine» estendendo il provvedime­nto in tutto il Paese (l’obbligo è in vigore dalla scorsa notte), anche se non tutti sono d'accordo. Ad esempio la cosa ha disturbato Kompatsche­r, il più «liberale» dei presidenti, che sta valutando se nell’ambito dei poteri della specialità altoatesin­a vi siano i margini per disobbedir­e al principio che lascia ai territori la sola possibilit­à di restringer­e e non di allargare i divieti. Insomma, il tema del «decisore» è sempre più caldo nella sua nuova possibile configuraz­ione. Bene ha fatto il governo centrale - che in verità ha lavorato molto meglio della maggior parte delle nazioni europee (e non solo) - a rivendicar­e la sua supremazia nelle situazioni emergenzia­li. Ma altrettant­o bene ha fatto a dialogare continuame­nte con i territori di fronte al protagonis­mo di una parte delle Regioni nella richiesta di maggiore autonomia e di un federalism­o responsabi­le. Certo è da evitare ogni cortocircu­ito nell’eventuale ridisegno dell’architettu­ra istituzion­ale, ma la strada sembra segnata.

E segnata, con implicazio­ni ancor più fattuali e «intriganti» a livello di soggetti decisional­i, è quella dell’armonizzaz­ione del rapporto fra la politica e la scienza, a sua volta alle prese con una vulnerabil­ità poco immaginabi­le. Basti pensare al fatto che nei primi giorni di Covid lo smarriment­o era tale che gli stessi virologi non ci avevano capito quasi nulla. Ma questo è tutto un altro capitolo.

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