I POTERI AL TEMPO DEL COVID
Il copione è del tutto italiano. Fra politica e popolo, solo grazie alle emergenze spesso legiferiamo, reagiamo e in qualche modo ci salviamo. Obbedienti e riluttanti, civili e incoscienti, nel complesso procediamo come le macchine che parcheggiano «a orecchio». Un colpetto qua e un colpetto là, con danno minimo e ricerca del massimo risultato. In questo caso ci voleva il Covid per porre con forza a livello nazionale il «sopito» rapporto fra Potere centrale e Territori, Stato e Regioni o Province speciali e Comuni.
Più soggetti, più poteri. Nella stessa direzione ma concorrenti. Mai come ora protagonisti nella sfida decisionale. Tutti garantiti dalla dialettica costituzionale ma combattivi in quella politica che – non senza mediazioni - fa sempre più ricorso ad uno «scontro» istituzionale fatto di impugnazioni e appelli all’Alta Corte. Se lo Stato mette sul piatto le clausole di supremazia e legifera nei periodi d’emergenza dettando le linee di indirizzo generali, non meno fanno, nel loro nuovo protagonismo, presidenti delle Regioni e sindaci. Dai quali sale la richiesta di un «federalismo sanitario» dall’alto (o dal basso) della vicinanza con i cittadini, gli ospedali, le associazioni, le imprese, il welfare.
Il Nordest, questa dialettica, la vive più di tutti e in modo «radicale». Dalle autonomie speciali e più compiute di Bolzano e Trento a quelle inseguite seppur con diverse sensibilità dal Veneto e dall’Emilia Romagna. Negli oltre otto mesi di emergenza virus - in un’epidemia fatta di morte e malattia sanitaria ed economica - abbiamo assistito a diktat, confronti, strappi e vicendevoli riallineamenti. A cominciare dal protagonismo di Arno Kompatscher, che per primo in Italia firmò l’ordinanza per la riapertura di bar e ristoranti anticipando di alcuni giorni quella del governo, che si rimangiò la minaccia di impugnazione per poi decretare la riapertura erga omnes. Per continuare con il governatore Fugatti, che anticipò la riapertura dei cantieri trentini. E così è stato con Zaia in Veneto, dove parrucchieri ed estetisti sono tornati per primi nei loro negozi o dove la stagione dell’Arena ha inaugurato la presenza, seppur molto ridotta, degli spettatori. Stesso copione in Emilia, dove all’inizio del campionato di calcio Bonaccini ha aperto gli stadi ai tifosi. Anche qui uno «strappo», dato che la linea del governo è sempre stata quella di tollerare solo ordinanze restrittive e non più liberali rispetto ai Dpcm. Con una costante: tutti questi ministrappi sarebbero stati più o meno «concordati» con Roma, quasi le Regioni fossero avamposti dove sperimentare nuove condotte in virtù dell’ascolto della voce dei territori. E il luogo di «contrattazione» - a parte le singole interlocuzioni con il governo è stata la Conferenza Stato-Regioni, guarda caso guidata dal dem Bonaccini e diventata una sorta di «terza Camera» . Ieri stesso c’è stato l’ennesimo confronto, stavolta sull’utilizzo delle mascherine anche all’aperto, peraltro già rese obbligatorie nel weekend in comuni come Bologna o in Regioni come
Puglia e Marche. Roma è arrivata «alla fine» estendendo il provvedimento in tutto il Paese (l’obbligo è in vigore dalla scorsa notte), anche se non tutti sono d'accordo. Ad esempio la cosa ha disturbato Kompatscher, il più «liberale» dei presidenti, che sta valutando se nell’ambito dei poteri della specialità altoatesina vi siano i margini per disobbedire al principio che lascia ai territori la sola possibilità di restringere e non di allargare i divieti. Insomma, il tema del «decisore» è sempre più caldo nella sua nuova possibile configurazione. Bene ha fatto il governo centrale - che in verità ha lavorato molto meglio della maggior parte delle nazioni europee (e non solo) - a rivendicare la sua supremazia nelle situazioni emergenziali. Ma altrettanto bene ha fatto a dialogare continuamente con i territori di fronte al protagonismo di una parte delle Regioni nella richiesta di maggiore autonomia e di un federalismo responsabile. Certo è da evitare ogni cortocircuito nell’eventuale ridisegno dell’architettura istituzionale, ma la strada sembra segnata.
E segnata, con implicazioni ancor più fattuali e «intriganti» a livello di soggetti decisionali, è quella dell’armonizzazione del rapporto fra la politica e la scienza, a sua volta alle prese con una vulnerabilità poco immaginabile. Basti pensare al fatto che nei primi giorni di Covid lo smarrimento era tale che gli stessi virologi non ci avevano capito quasi nulla. Ma questo è tutto un altro capitolo.