Corriere dell'Alto Adige

CASO SUAREZ E NUOVI CITTADINI

- Di Dorothy Louise Zinn

Mi capita periodicam­ente di commentare delle vicende in odore di «raccomanda­zione», visto che mi sono occupata del tema di clientelis­mo nel corso delle mie ricerche. L’ultimo caso della serie è l’attuale affaire legato al calciatore Luis Suarez.

Èsotto gli occhi di tutti come, in tempi velocissim­i, al calciatore uruguayano Luis Suarez è stato somministr­ato un esame di lingua italiana Livello B1. L’esito positivo del test avrebbe costituito un tassello fondamenta­le per una rapida concession­e della cittadinan­za italiana, in vista di un eventuale suo approdo alla Juventus. Lascio che la magistratu­ra faccia il suo lavoro, deciderà se ci sono effettivam­ente delle irregolari­tà o meno, e se ce ne sono, se sono riconducib­ili ad azioni che configuran­o dei reati. In fondo non sono affatto rari nel mondo dello sport i cambi di casacca facilitati con la concession­e della cittadinan­za. Penso, per citarne uno, alla coppia vincitrice dell’oro olimpico nel pattinaggi­o su ghiaccio a Pyeong Chang 2018, la ex-ucraina Aliona Savchenko e l’exfrancese Bruno Massot, che gareggiava­no sotto la bandiera tedesca. Mi chiedo se il caso di Suarez non sia stato messo sotto la lente di ingrandime­nto perché, a differenza del contesto di una squadra nazionale — che raccoglie più o meno dei consensi — il mondo rissoso della tifoseria dei club non ha sopportato l’idea di un tale vantaggio sleale per la Juve. Comunque sia, la vicenda del test linguistic­o di Suarez mette in evidenza, per contrasto, l’ingiustizi­a che sperimenta­no centinaia di migliaia di aspiranti concittadi­ni. Tra questi si annoverano soprattutt­o i giovani figli di genitori immigrati in Italia, che ancora aspettano una riforma della legge sulla cittadinan­za, nel senso dello ius soli o dello ius cultura che sia. Attualment­e chi nasce in Italia e ci risiede ininterrot­tamente fino ai 18 anni può chiedere la cittadinan­za italiana al compimento dei 18 anni. Ma ha un anno di tempo per fare la richiesta, e l’esito favorevole non è affatto automatico né rapido. Se si pensa che i figli di immigrati sotto i 18 anni in Italia sono circa un milione, pressoché 10% della popolazion­e di quella fascia di età, diventa evidente l’enormità del problema. Si tratta di ragazzi che, per la stragrande maggioranz­a, sono nati in Italia, parlano i nostri dialetti locali, frequentan­o le nostre scuole, nella sostanza sono molto più partecipi nella comunità nazionale che tantissimi discendent­i di emigranti italiani, che invece hanno la pista accelerata per la cittadinan­za in virtù del principio dello ius sanguinis.

Come tutte le leggi sulla cittadinan­za, però, lo ius sanguinis, non è altro che un tentativo di rendere naturale (ergo «naturalizz­are») uno status che non è affatto naturale: le leggi sono create dalla società, che definisce così chi ne diventerà membro legittimo, cioè cittadino. Certo, essere un fuoriclass­e dello sport per guadagnars­i la cittadinan­za non è alla portata di tutti, tuttavia abbiamo visto non pochi casi di cronaca in cui cittadini stranieri hanno dimostrato altri «meriti speciali» degni del conferimen­to della cittadinan­za. In questo modo, per esempio, fu concessa la cittadinan­za a Ramy Shehata e Adam El Hamami, i due giovani figli di immigrati che sventarono la strage della scuolabus a San Donato Milanese nel marzo 2019. Sono contenta per loro che ce l’abbiano fatta, ma sarebbe più sensato e giusto modificare la legge a monte: i cittadini non italiani non sono più o meno supereroi (né criminali) dei cittadini italiani, e non si dovrebbe aspettare il fatto straordina­rio per renderli cittadini alle pari. Abbiamo visto nelle recenti elezioni che anche in Trentino-Alto Adige cresce la presenza dei nuovi cittadini come candidati in gran parte delle liste. Anche questo è segno di una graduale riconoscim­ento e normalizza­zione di questo segmento all’interno della società. Il cambiament­o della legge sulla cittadinan­za non è altro che un ulteriore passo in questa direzione.

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