L’amore ritrovato
Nel nuovo saggio dello psicologo Morelli l’educazione sentimentale come mezzo per attuare un’ecologia dei comportamenti umani che insegni limiti e fragilità
Ritrovare la possibilità delle relazioni affettive dopo il lockdown e durante la pandemia e contemporaneamente pensare a modi di vivere differenti, sostenibili e giusti. Una prospettiva fondata sull’«educazione sentimentale» come mezzo per attuare un’ «ecologia dei comportamenti umani», affinché diventino capaci di accogliere la fragilità, il limite, la cura invece di arroganza, aggressività, indifferenza.
È un inedito viaggio alla scoperta dei territori dell’empatia quello che Ugo Morelli propone in Empatie ritrovate. Entro il limite per un mondo nuovo (San Paolo edizioni), il suo nuovo saggio. Un appello alla responsabilità tutti per realizzare un mondo vivibile attraverso il riconoscimento del limite. Editorialista del Corriere del Trentino, Morelli, psicologo, studioso di scienze cognitive e scrittore, oggi insegna Scienze cognitive applicate al paesaggio e alla vivibilità al Dipartimento di architettura dell’Università Federico II di Napoli. È autore di molti saggi.
Professor Morelli, perché «empatie ritrovate»?
«Il titolo sottende un’aspettativa che ha più significati. Da un lato l’empatia da ritrovare, quindi un auspicio. Il cosiddetto distanziamento sociale ci toglie però una buona parte della nostra umanità. Proprio questa deprivazione, dall’altro lato, ci fa scoprire e ritrovare l’importanza del legame sociale, quindi dell’empatia».
Empatia: quale significato attribuisce a questa parola?
«È un concetto messo a punto dalla grande filosofa Edith Stein, che nel linguaggio di tutti i giorni decliniamo come “mettersi nei panni degli altri”. Una prospettiva estremamente difficile da realizzare, perché l’incontro è sempre un’approssimazione. Comporta sia l’avvicinarsi sia smussare gli angoli. Per noi umani l’empatia non è una scelta, tutti gli studi di neuroscienze cognitive ci dicono che nasciamo già sociali. Cominciamo ad avere rapporti con il mondo fin dalla XIV settimana di gestazione, attraverso il corpo e la mente della madre».
Come può allora accadere di sospendere l’empatia e praticare l’indifferenza?
«Che cosa ha significato culturalmente per una specie che sa di essere finita - perché ciascuno di noi sa di dover morire - costruire un delirio di onnipotenza che nega il limite, che è la condizione della possibilità? Negare il limite significa delirare da un punto di vista psichico, a livello individuale e collettivo. L’empatia si allarga allora di significato, e quello che a noi tocca come compito di specie è riconoscere il valore del limite come possibilità. Ciò comporta un’empatia con il mondo».
Caratterizzata da quali elementi?
«Dobbiamo smetterla di parlare di nuovo umanesimo mettendo ancora al centro la specie umana, abbiamo bisogno di conquistare un’altra autodefinizione: quella di esseri terresti, perché “io vivo se ci sono gli alberi, le api, gli animali” e così via. Oggi il Covid-19 si pone come un’occasione straordinaria di imparare un nuovo modo di stare al mondo, che parte dal limite e vive quindi nel possibile del limite».
Ne saremo capaci?
«So di usare in parte un’aspettativa utopica, ma ho sempre pensato che l’utopia sia il luogo che non c’è ancora, non quello che non c’è. Le cattive notizie riguardano la propensione narcisistica di ciascuno di noi, il fatto che persino di fronte alle catastrofi mostriamo propensione a non voler cambiare nulla. C’è però anche una buona notizia: la componente generativa della specie. Noi siamo anche quelli che mentre persistono a non voler cambiare idea e subiscono la forza dell’abitudine, siamo in grado di creare il nuovo, l’inedito».
Lei parla di un’ecologia dei comportamenti fondata sull’educazione sentimentale.
«Intendo il sentimento nell’accezione più profonda di come noi esseri umani avvertiamo le emozioni di base: paura, desiderio, rabbia, dolore, aggressività. Siamo analfabeti sentimentali perché più che a governare le emozioni, tendiamo a subirle. Non esistono ricette esterne per il grande problema dell’ecologia del comportamento umano, abbiamo bisogno di riconoscere che siamo parte del tutto».