I GRAVI MALI DELLA NOSTRA QUOTIDIANITÀ
Potente e attuale, come i suoi scritti precedenti, si presenta l’enciclica «Fratelli tutti» di papa Francesco. E lui ancora una volta si rivela un profeta, scomodo ma chiaro, preoccupato ma fiducioso: un vero sognatore a occhi aperti. Da uomo ricco di esperienza e di visioni, non manca di evidenziare come tanti sogni del Dopoguerra siano andati in frantumi.
Denuncia così a chiare lettere alcuni dei mali più gravi del nostro tempo: la globalizzazione con meri intenti economici, il mancato riconoscimento dei diritti umani per milioni di persone, le frontiere senza dignità, il ritorno dei nazionalismi, l’informazione senza saggezza, la proprietà privata elevata a idolo, mentre dovrebbe avere anche una funzione sociale.
Lo preoccupano soprattutto quelle ideologie che hanno compreso come il modo più efficace «per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori». (FT 15) A tal fine si favorisce che i giovani non conoscano la storia e dunque non ne sappiano imparare le lezioni riguardo ai pregiudizi, alla violenza ed alle guerre, che lasciano il mondo sempre peggiore di come lo hanno trovato.
Lamenta ancora Francesco che con la comparsa del COVID-19, pur vivendo in un mondo iperinformato, abbiamo affrontato tale grave problema in modo frammentato e senza una strategia comune, che avrebbe permesso risultati migliori.
Il Papa non è però un moralista o un semplice diagnostico: propone anche delle terapie concrete e attuabili. Prendendo spunto da san Francesco che — proprio durante una crociata e con mezzi limitati — si recò in Egitto per incontrare il sultano Malik-al-Kamil, e ricordando anche il proprio incontro ad Abu Dhabi del febbraio 2019 con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, rettore dell’Università Al-Azhar del Cairo, auspica quell’amicizia tra le persone che può e deve generare una politica nuova, anzi addirittura un «amore politico», l’unico in grado di trasformare le regole del gioco a favore di un umanesimo più maturo e universale.
Ecco allora il suo invito alla fratellanza universale, la sua tesi che «abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune». Citando la parabola del Buon Samaritano, di quell’uomo che soccorre uno straniero e avversario privato della salute e della dignità, ribadisce che dobbiamo «pensare e generare un mondo aperto». Infatti «Nessuno può affrontare la vita in modo isolato […]. C’è bisogno di una comunità che ci sostenga, che ci aiuti e nella quale ci aiutiamo a vicenda a guardare avanti».(FT 8). E come il Papa cita tra i suoi modelli Desmond Tutu piuttosto che il Mahatma Gandhi, così anche noi dovremmo riconoscere che le nostre vite sono spesso sostenute da persone a noi ignote, che per noi lavorano a costi molto bassi in Paesi remoti. Ma dobbiamo anche ammettere che la nostra sopravvivenza non la dobbiamo alle strapagate star del calcio, del cinema o della musica, ma piuttosto a «quelle persone ordinarie che hanno scritto gli avvenimenti decisivi della nostra storia condivisa: medici, infermieri e infermiere, farmacisti, addetti ai supermercati, personale delle pulizie, badanti, trasportatori, uomini e donne che lavorano per fornire servizi essenziali e sicurezza, volontari, sacerdoti, religiose,… che hanno capito che nessuno si salva da solo». (FT 54)