«Luogo senza malizia, così hanno fatto i soldi»
TRENTO Una terra bianca, senza malizia: questo, secondo le parole degli stessi esponenti mafiosi, intercettate dalle indagini dei carabinieri del Ros, era il Trentino prima che arrivassero loro. Ossia alcuni esponenti della ’ndrangheta provenienti da Cardeto, in provincia di Reggio Calabria. Che avrebbero creato una vera locale, usando mezzi anche intimidatori e violenti secondo gli inquirenti, facendo fallire e intascando i profitti di molte realtà del porfido e intessendo rapporti con i vertici delle istituzioni politiche e non solo locali. A volte facendo breccia, come nel caso di Mauro Ottobre, e degli ex sindaci di Lona Lases Roberto Dalmonego e di Frassilongo Bruno Groff. A volte venendo respinti, come nei casi del vicepresidente provinciale Mario Tonina, dei vertici di Fbk (Andrea Simoni) e dello stesso ex presidente della Provincia Lorenzo Dellai.
La terra bianca
In un viaggio proprio verso la regione, il boss della cosca, Antonio Serraino, anche lui fermato ieri in Calabria, parlando con un altro esponente presunto del clan, avrebbe ripercorso le origini della locale trentina in un modo paradigmatico. «Lì (in Trentino) — afferma il compagno di viaggio — c’è mezza Cardeto... Ceggio (ossia il presunto capo della locale trentina Innocenzio Macheda)... e altri sono saliti a Trento, una città bianca senza malizia, i calabresi maliziosi quando hanno visto che non girava droga e cose... hanno fatto soldi della madonna. Dice che i trentini non potevano immaginare che un cristiano potesse fare imbrogli come (facevano) quelli lì (ossia i calabresi)». Macheda, nato a Cardeto nel 1958 e titolare della Pietre Naturali Macheda srl, avrebbe tenuto i contatti diretti con la ’ndrina di Cardeto, avrebbe disposto di armi nascoste nelle cave, avrebbe gestito con i fratelli Giuseppe e Pietro Battaglia le attività legate all’estrazione del porfido. A lui Mario Giuseppe Nania riconosce il ruolo di capo dice, intercettato, che «a Macheda gli riferisce tutto ed è un suo obbligo, e di essere lui, Nania, dopo Macheda». Con Ceggio Nania, da anni nel settore delle cave tra Albiano e Lona Lases e considerato dagli inquirenti «uno dei pilastri dell’organizzazione criminale», condivide un’impostazione più hard della locale, contestando indirettamente quella «soft» dei fratelli Battaglia. Nania, che gli inquirenti non esitano a definire una sorta «di bravo manzoniano capace di tenere in pugno i dipendenti sfruttati delle imprese nelle quali figura talora come dipendente altre volte come amministratore» appella Macheda come «uno quadrato». Per lui la ’ndrangheta è una potenza: «Dobbiamo andare a ammazzare 10. Non c’è problema, andiamo. Venti? Noi partiamo. Qual è il problema. Noi non ci distruggiamo mai». E insiste in altre conversazioni: «Io a 16 anni quando sono arrivato qua ho fatto l’investimento di 7 milioni di lire (siamo negli anni Ottanta, ndr). Ma non è che facemmo delinquentemente o abbiamo ammazzato persone o rubato, noi non abbiamo pagato lo Stato».
L’auto bruciata
Il 29 agosto 2018 Macheda trova la sua auto, parcheggiata sotto casa, bruciata. Il capo della locale avrebbe poi progettato, stando agli atti, l’omicidio dei presunti colpevoli, che lo avrebbero fatto per questioni legate alla gestione delle cave. Nel pianificare questa azione, mai conclusa, utilizza una frase — «l’uomo deve essere come la seta e avere un solo punto di brutalità» — che viene considerata tipica delle formule iniziatiche della ’ndrangheta.
Politica/indagati
La capacità di penetrazione della locale nella società trentina sarebbe, secondo le forze dell’Ordine e la Procura, dimostrata anche dai rapporti cercati e intessuti con la politica locale. Due ex primi cittadini, Groff e Dalmonego, e un ex parlamentare, Ottobre, sono accusati di scambio elettorale politico mafioso. Il primo, che dagli atti risulterebbe amico di Domenico Morello, avrebbe ricevuto richiesta da Groff di sostenerlo alle provinciali 2018 nell’ambito del progetto, poi naufragato, della lista dei civici. «Se noi decidiamo di darti una mano te la diamo, però vedi che noi siamo tutte persone che hanno delle aziende, che possono avere delle necessità». E Bruno Groff avrebbe poi contraccambiato in effetti (prima ancora che il progetto elettorale tramontasse) quando nel settembre del 2018 Morello, che viveva all’epoca a Frassilongo, avrebbe sparato colpi per spaventare dei vicini per questioni di parcheggio. Ma questi si sarebbero rivolti ai carabinieri e Groff avrebbe fatto sparire tutto. «Mi chiama Bruno, “vieni da me, ti devo parlare”. I carabinieri avevano chiamato a lui». Ma «lui gli ha imbrogliato qualcosa, gli ha detto “no”». Il voto di scambio, aggravato poi dalla avvenuta elezione, per Dalmonego sarebbe stato procacciato da Pietro Battaglia, lui stesso poi eletto in consiglio comunale. Mentre a mettere nei guai Ottobre ci sarebbe la richiesta di incontro registrato dai Ros il 14 ottobre 2018 con il presunto «boss» Macheda e lo stesso ex parlamentare al centro commerciale di Civezzano per avere il sostegno per le provinciali del 2018. Un sostegno che verrebbe confermato quando Macheda viene sentito dire «Noi abbiamo raccolto i voti per Mauro Ottobre».
Politica/non indagati
Ma sono anche gli approcci, la rete di contatti che alcuni degli indagati hanno cercato di tessere con politici, medici, magistrati, che rivelerebbero, secondo gli inquirenti il livello di penetrazione della ’ndrangheta in Trentino. Un ruolo magistralmente svolto stando agli atti, dall’imprenditore di Arco Giulio Carini. È lui che contatta il consigliere provinciale Pietro De Godenz proponendogli uno scambio: se avesse aiutato la comunità musulmana di Rovereto a ottenere un terreno per costruire il proprio centro religioso, avrebbe portato a lui i voti della stessa comunità. Voti che lui sostiene di aver già fatto arrivare nelle tasche di Tiziano Mellarini, ex assessore provinciale, che non esita a contattare per l’assunzione definitiva della nuora in Fbk. Per questo proverebbe a esercitare pressioni anche sull’attuale vicepresidente della Provincia Mario Tonina, offrendo anche a entrambi in cambio un soggiorno al mare in Calabria. Offerta che Tonina, al termine di una serata avrebbe rifiutato. I contatti ci sarebbero anche con l’ex presidente della Provincia Lorenzo Dellai ma non porterebbero a nulla. Così come molte sono le cene anche con medici, magistrati, esponenti delle forze dell’Ordine, che però non sarebbero caduti nella trappola. E medesimo «volto rispettabile» avrebbe anche la società Magna Grecia, presieduta da Giuseppe Paviglianiti. Era questa la «sede dove i sodali si rapportano, a volte in altre allargate a soggetti esterni che possono tornare utili alla stessa o per sostenere candidature politiche». Il suo presidente organizzava cene e eventi i cui soldi, secondo gli inquirenti, sarebbero serviti
La cene
I sodali organizzavano serate con esponenti di tutta la società civile con lo scopo di ottenere favori, dai medici a dirigenti ai magistrati.
I detenuti da mantenere Un ruolo chiave l’avrebbe rivestito l’associazione Magna Grecia, che avrebbe raccolto soldi per le attività illecite
De Godenz e i musulmani Il consigliere sarebbe stato contattato da Carini: gli islamici di Rovereto lo avrebbero votato in cambio di aiuto per realizzare la moschea
Lavoratori sfruttati Dai dialoghi emergerebbero minacce verso i lavoratori delle cave che, non pagati, chiedevano il denaro. Erano per lo più stranieri
Mario Giuseppe Nania Dobbiamo andare e ammazzare dieci persone? Non c’è problema. Venti? Partiamo. Non ci distruggiamo mai
Tentato sequestro Due degli indagati progettavano di rapire un’anziana per rubarle i gioielli
anche per pagare le spese dei mafiosi detenuti in carcere.
L’economia
Il fulcro degli interessi economici dei 19 indagati (cui vanno aggiunti altri 16 indagati) sarebbero le cave di porfido. Giuseppe e Pietro Battaglia erano titolari della cava Camparta dal 1999, poi ceduta e oggetto di attenzione della Finanza, Giuseppe mel 2009 diventa socio della Marmirolo Porfidi di cui Antonio Muto, definito organico alla ‘ndrangheta calabrese, aveva il 75%. Per i carabinieri del Ros Giuseppe sarebbe «amministratore occulto di varie società del porfido» mentre Pietro era legale rappresentante della Porfidi Dossi, membro della Anesi srl, e amministratore unico della Porfidi 99 per citarne solo alcune. In cava avrebbero tratto profitti anche sfruttando, non pagando e minacciando i lavoratori. Emblematica, per le centinaia di intercettazioni in cui i lavoratori, per lo più cinesi, spingevano per ottenere i propri soldi e in cui presunti mafiosi rispondevano picche, quella in cui Nania afferma «ammazza sto cinese». Ma i malavitosi avrebbero esteso il loro interesse, non sempre riuscendo, anche ad altre realtà economiche, dalla logistica, alla pasta fresca alle aziende attive nel settore del legname.
Il tentato sequestro
Il modus operandi violento sarebbe testimoniato anche dal piano ordito da Macheda e Domenico Ambrogio contro due fratelli per rubare gioielli, avvalendosi della collaborazione della badante dell’anziana madre dei due. Il piano prevedeva, secondo i Ros, il sequestro della donna e il furto ma sarebbe stato interrotto proprio dalle forze dell’ordine grazie alle intercettazioni.