Corriere dell'Alto Adige

ASCOLTARE LE PAURE DEI MEDICI

- Di Gabriele Bronzetti

Gli appelli disperati dei medici che chiedono il lockdown andrebbero ascoltati, se non altro perché ad oggi in Italia quasi duecento tra loro sono morti per essere andati incontro al virus a mani nude.

La sera del 14 aprile 1912 sul Titanic c’erano cento casse di champagne e nemmeno un binocolo, molto meno caro di una bottiglia di Krug del 1906. Chi era al ponte di comando, ad occhio nudo, non ha visto il mare di ghiaccio che avrebbe inghiottit­o 1500 persone senza distinzion­e tra prima e terza classe.

Tutta colpa della fretta: per la fretta di partire non si portarono i binocoli a bordo; per la fretta la nave viaggiava a una velocità febbrile tra i 39 e i 41 chilometri all’ora pur trovandosi in una zona di iceberg e foschia; per la fretta, i marconisti intenti ai messaggi dei passeggeri di prima classe ignorarono l’allarme dei natanti in zona che avvisavano dell’iceberg. Infine, c’era fretta di arrivare a New York per vincere il «Nastro Azzurro». E noi, che fretta abbiamo di sbarcare nel Nuovo Mondo appena dimostrato­si impotente e ridicolo, incapace di elezioni credibili? La politica è un mestiere difficile.

Ma è più difficile inventare — nel senso più creativo e nobile delle scienze statistich­e e politiche — 21 parametri per assegnare un colore a una zona, o trovare la pace aritmetica tra quelli che moriranno di Covid e quelli che potrebbero davvero morire di fame? Questi ultimi sono sempre sovrastima­ti. La paura fa così. Guardiamo le guerre: si muore in battaglia o sotto le bombe. Chi sopravvive in dieci anni ricostruis­ce un Paese raso al suolo, anche con poco pane sotto i denti. Nell’indecision­e matematica del tempo bisogna fidarsi di chi sta in prima linea.

Questo virus è uno yo-yo che con il suo filo di Rna ci sta prendendo per il collo: va e viene. Prima da noi poi in Francia, era dato per estinto in estate ed è tornato. In Francia e poi ancora da noi. Il virus viaggia con gli scambi commercial­i e gli incontri, conosce i segreti della trasmissio­ne, è contagioso come nessun virus mai e per la nostra geografia, il nostro clima e il nostro carattere l’unico rimedio finora efficace è non incontrars­i perché anche se adesso sappiamo curare meglio la malattia Covid 19, le terapie intensive non hanno i coperti della movida e sono già piene. Ci sono i 21 parametri, c’è il gioco del 21 o Black Jack, ma per aver un’idea di quanto il virus sia esploso negli ultimi giorni senza conoscenze di epidemiolo­gia o di teoria dei giochi possiamo usare il nostro cellulare (quello che non è servito per l’app Immuni) e fare il test del 21. Prendiamo gli ultimi 21 contatti delle nostre chat e chiediamo quanti di loro conoscono più o meno direttamen­te malati Covid 19. Ne troveremo diversi. E non si parla di positività, che dipende dai tamponi effettuati, ma di malattia vera. Questo in marzo non succedeva. Dobbiamo chiederci se la nostra idea di futuro è di non lasciare in mare nessuno oppure una palla di cannone accesa, l’animalesco terrore della miseria e del Pil. I medici delle terapie intensive sono i mozzi di questa nave tra la nebbia e il ghiaccio e non bevono champagne, nei loro monitor vedono onde nitidissim­e. Possono disporre di 21 o più parametri di un paziente e i migliori hanno un sesto senso innumerabi­le. Se questi giovanotti lupi di mare hanno paura, noi dobbiamo averne di più. Se chi è al timone crede di poter fare a meno di ascoltarli, dovrebbe riandare alla canzone di De Gregori dall’album Titanic. Imparerebb­e molte cose.

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