Vaccino alla moglie: «Si perdeva una dose»
Il 19 marzo alla Fiera avanzò una dose di Pfizer In assenza di «utenti jolly» fu chiamata la consorte
Il direttore del comprensorio sanitario di Bolzano Umberto Tait è al centro di un’indagine interna dell’Asl per aver fatto vaccinare sua moglie contro il Covid. La signora non rientrava nelle categorie professionali o nelle fasce anagrafiche degli aventi diritto come prioritari, ma venne chiamata in extremis come «jolly» dopo che diversi utenti prenotati in precedenza non si erano presentati all’appuntamento con la vaccinazione. Se non si fosse vaccinata, dunque, la dose di Pfizer sarebbe stata buttata via. Il dirigente Tait ha già segnalato la vicenda alla Procura.
Dopo il «caso Nava» a Trento, una vicenda simile rischia di scoppiare anche nella sanità altoatesina, mettendone in imbarazzo i vertici. A finire al centro di un’indagine interna è il direttore del comprensorio sanitario di Bolzano Umberto Tait, che avrebbe indicato per la vaccinazione sua moglie, la quale non rientrava nella lista delle categorie da vaccinare in via prioritaria, ad esempio per motivi anagrafici.
La vicenda però va spiegata nel dettaglio per comprendere come, in realtà, non sia stata seguita alcuna scorciatoia a favore della consorte del dirigente sanitario, anzi: se non fosse stata vaccinata la signora Tait, quella dose di vaccino sarebbe stata buttata via. Si tratta di una precisazione fondamentale per poter meglio comprendere la vicenda e allontanare quindi sin da subito i sospetti di una presunta irregolarità nel comportamento del direttore Tait, il quale ha oltretutto segnalato l’episodio di sua spontanea volontà alla magistratura. Si tratta di una segnalazione in procura con la quale il direttore Tait ha inteso comunicare quanto avvenuto, con trasparenza e correttezza, al fine di suggerire degli accertamenti sulla regolarità o meno della vicenda, sulla quale la stessa Asl ha già avviato un’indagine interni.
I fatti risalgono allo scorso 19 marzo al centro vaccinale della fiera. Erano stati preparati quel giorno 600 dosi di vaccino Pfizer e 11 dosi di AstraZeneca, sulla base delle prenotazioni della giornata. Si tratta di flaconi che vengono preparati al momento e sono pronti per la somministrazione: se non vengono somministrate entro 6 ore dalla preparazione, le dosi vanno obbligatoriamente buttate via.
Quel giorno la presenza contemporanea di due differenti tipi di vaccino aveva complicato la ricerca delle cosiddette «persone jolly», cioè di coloro cui destinare le dosi eventualmente avanzate a causa delle defezione di chi si era prenotato.
Già con il vaccino AstraZeneca, i responsabili del centro vaccinale della Fiera avevano cercare un dodicesimo utente cui destinare una dose in più, rispetto al previsto, che era stata estratta da un flacone.
Nel pomeriggio, poi, ci si rese conto che più di persone prenotate per il vaccino Pfizer non si erano in realtà presentate. A quel punto è iniziata la caccia ai jolly: il personale aveva iniziato a telefonare agli utenti presenti nella lista ma questo non era stato sufficiente a colmare la lacuna creatasi. Che fare quindi, per evitare di buttare via decine di preziose dosi di vaccino? L’attenzione si è indirizzata sulle persone presenti al centro vaccinale: un addetto alle pulizie ha accettato la proposta e così si è fatto vaccinare.
Restavano però ancora tre dosi disponibili: dopo una lunga attesa, due delle persone che erano state richiamate al telefono, si sono alla fine presentate in fiera. Ma restava a quel punto ancora una dose, da dover somministrare il prima possibile. Non c’era nessuno disponibile e quindi i responsabili del centro vaccinale hanno contattato il direttore Tait, spiegandogli la situazione e chiedendo se conoscesse una persona disposta a sottoporsi immediatamente a vaccinazione. A fronte di quella richiesta, Tait contattò a sua volta la moglie, che si rese disponibile a farsi vaccinare, recandosi in Fiera ed evitando che la dose di vaccino venisse buttata via. La dose di vaccino le è stata somministrata proprio all’ultimo momento utile, perché i responsabili del centro hanno atteso che nel frattempo non arrivassero altri «jolly» che erano stati contattati.
La vicenda appare dunque diversa, nella sostanza, da quella avvenuta ai primi di gennaio a Trento, dove il direttore per l’Integrazione socio sanitaria Enrico Nava fece vaccinare sua moglie la quale non aveva i requisiti per rientrare nelle liste. La vicenda suscitò vivaci polemiche che si trascinano ancora oggi, con l’annuncio da parte di Nava di dimettersi dall’incarico. Nei giorni scorsi il direttore generale Pier Paolo Benetollo ha comunque confermato che Nava rimane un dirigente dell’Azienda sanitaria trentina.