«Valorizzare la lezione di Senesi ed estendere i rapporti all’estero»
Masera disegna le traiettorie per Mediocredito. «Il mio credo eretico nella territorialità»
TRENTO Rainer Masera ha 77 anni, alle spalle incarichi di spicco nel panorama bancario e nelle istituzioni italiane ed europee, ma quando parla del suo nuovo incarico in Mediocredito Trentino Alto Adige il suo entusiasmo è palpabile. «È un’occasione — dice il nuovo presidente dell’istituto di credito di via Paradisi dalla sua casa romana — per dimostrare che le tesi che ho elaborato sulle medio-piccole banche possono essere valide anche da un punto di vista operativo». Tesi che è tornato a sostenere nel suo nuovo libro pubblicato un mese fa da Ecra (la casa editrice delle banche di credito cooperativo), «Per una vera proporzionalità nella regolazione bancaria dell’Unione Europea. Le sfide del Coronavirus e di Basilea IV».
Professore, perché ha accettato questo incarico?
«Negli ultimi anni mi sono occupato delle possibilità delle medio-piccole banche di tenere sul mercato, con opportune forme di aggregazione e una buona corporate governance, in un contesto in cui il mercato spinge verso dimensioni più grandi. Per me è un’occasione per dimostrare che queste tesi che ho elaborato possono essere valide anche da un punto di vista operativo. Realtà medio-piccole come Mediocredito rappresentano un elemento importante nella biodiversità del sistema. L’altra sfida è quella di tornare alle origini, ad una banca di investimento (Masera è stato ad e presidente del Gruppo Sanpaolo Imi di Torino e membro esperto del cda della Banca europea per gli investimenti, ndr)».
Il nuovo consiglio di amministrazione sarà chiamato a delineare un piano strategico. Qual è l’indirizzo che darebbe a Mediocredito?
«Oggi il mio ruolo è quello di presidente non operativo, e per questo dovrò limitarmi a raccogliere e valutare le varie istanze. Quello che è stato fatto in questi ultimi anni, tuttavia, è molto significativo, altrimenti non avrei accettato questo incarico. Sia il direttore generale Pelizzari che il presidente Senesi hanno aiutato a creare un istituto territoriale importante, ben capitalizzato. Ora si tratta di valorizzare quello che è stato fatto. Le due province di Trento e Bolzano, dove ci sono eccellenze imprenditoriali, sono il cuore della banca, ma una parte significativa degli impieghi è nel Nord-est. Pur mantenendo la centralità in Trentino-Alto Adige dovremo essere in grado di estendere le collaborazioni nelle regioni limitrofe e nei Paesi esteri, in particolare in Austria e Germania».
Il Veneto, per esempio, è già il secondo mercato della banca, dopo il Trentino-Alto Adige.
«Il processo di radicamento di Mediocredito in Veneto è avvenuto nel tempo in cui sembrava che le grandi bane che venete avrebbero dovuto fagocitare l’intero sistema bancario. In realtà Mediocredito è stata la dimostrazione che per una banca la corporate governance è fondamentale».
L’espansione in altri territori non rischia di minare la territorialità dell’istituto?
«La banca territoriale deve rimanere fedele alle proprie origini. La lezione che lascia Franco Senesi va conservata: forte connotazione sia con il territorio che con il credito cooperativo. Il che non significa però che una banca non possa trovare collaborazioni, sia con le banche cooperative sia con gli operatori di private equity».
In un’intervista ha definito il suo atteggiamento come quello di un eretico. Per quale motivo?
«Oggi si tende a dire che l’unica soluzione ai problemi sono imprese e banche sempre più grandi. Io sono convinto che questo non è vero. Anzi è pericoloso, perché l’omogeneizzazione significa riduzione di concorrenza e perdita di attenzione al territorio».
Lei è stato presidente del Fondo temporaneo delle Banche di credito cooperativo. Si dimise pochi mesi dopo la nomina nel 2016. Cosa non condivideva?
«La divaricazione stava nel fatto che erano stati presi impegni nei confronti di banche che non meritavano il sostegno e che secondo me, senza abbandonarle a se stesse, dovevano essere fatte uscire fuori dal mercato, nell’ambito delle Bcc. Erano banche che non avevano il primo standard di corporate governance e con questo si corre il rischio di inquinare l’intero sistema».