Sanitari no vax, partono le verifiche
Campagna, obiettivo record la prossima settimana: 32mila dosi. Pazienti cronici, subito centralino bollente Da oggi saranno richieste le spiegazioni ai non vaccinati. La replica: già depositate 300 diffide
Sono arrivate ieri pomeriggio all’Asl le liste con i 5.753 nomi degli operatori sanitari non vaccinati: e partiranno già oggi, o al più tardi lunedì, gli inviti a fornire spiegazioni. Quattro i casi di «giustificazione» ammessa: l’avvenuta vaccinazione, l’avvenuta prenotazione, l’esistenza di una malattia certificata dal medico di base o l’impiego in una delle categorie professionali con soggette all’obbligo vaccinale perché non a contatto diretto con i pazienti. Il gruppo di lavoro dell’Asl, spiega Cappello, direttore della Ripartizione legale, «sta limando gli ultimi dettagli. Ora si parte». Né eventuali ricorsi, né le 300 diffide già arrivate all’Asl, determineranno una sospensione del provvedimento: i portavoce dei «no vax» si appellano alla presunta violazione della privacy e all’utilizzo di farmaci definiti «sperimentali». Contestazioni senza fondamento, né giuridico né scientifico.
Sono arrivate ieri pomeriggio all’Azienda sanitaria (Asl) le liste con i 5.753 nomi degli operatori sanitari non vaccinati. E il gruppo di lavoro che si occupa di applicare il decreto legge che fissa l’obbligo di vaccinazione per chi lavora a diretto contatto con i pazienti, introdotto dal primo di aprile dal decreto Draghi, sta limando gli ultimi dettagli per poter partire con gli inviti formali a fornire spiegazioni «già oggi — annuncia il direttore della Ripartizione legale, Marco Cappello —. Al più tardi lunedì». Né eventuali ricorsi, né le 300 diffide già arrivate all’Asl, determineranno una sospensione del provvedimento.
A farsi portavoce, dal punto di vista legale, dell’esercito di «no vax» è l’avvocato Renate Holzeisen. Due gli aspetti sui quali si fa leva nelle diffide (a dare formalmente esecuzione al decreto legge relativo all’obbligo vaccinale): quello della privacy degli operatori sanitari, che per gli «irriducibili» sarebbe violata, e quello clinico, con la somministrazione di «sostanze sperimentali». Peccato che siano pretese senza fondamento giuridico (né scientifico): non si verifica, infatti, alcuna violazione della privacy nel dare esecuzione a una legge che richiede di raccogliere dati personali che, per altro, risultano oscurati per tutti coloro che sono coinvolti nel funzionamento della macchina, a eccezione della persona formalmente incaricata di trattarli, nel pieno rispetto delle norme.
Gli elenchi con i nominativi di chi manca all’appello sono stati elaborati dalla Provincia, dopo una verifica sull’anagrafe vaccinale, che ieri pomeriggio li ha trasmessi all’Asl. Su 22 mila operatori impiegati in strutture sanitarie (pubbliche e private), socio-sanitarie e socio-assistenziali, farmacie, parafarmacie e studi professionali, in 5.753 non hanno osservato l’obbligo vaccinale: il 26%. Tra i dipendenti dell’Asl, la percentuale scende al 18%: 1.474 sui 8.345 nominativi comunicati dall’Azienda (che conta, per la verità, oltre 10 mila dipendenti, dai quali sono stati tolti quelli che non hanno rapporti diretti con i pazienti). L’ambito più refrattario è quello delle case di riposo, dove l’astensione tra i 4.800 collaboratori sale circa al 50%.
Toccherà all’Asl contattare singolarmente ciascuno degli operatori non vaccinati (compresi quelli che non sono dipendenti diretti dell’Azienda), per chiedere spiegazioni. «Stiamo imbastendo il lavoro — assicura Cappello —. I moduli da inviare, via posta elettronica certificata o via raccomandata, sono pronti». Moduli che spiegano come la vaccinazione contro il coronavirus costituisca un requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative da parte di chi opera a contatto con i pazienti, e nei quali vengono elencate le sole quattro condizioni ammesse per giustificare la non avvenuta vaccinazione: o l’operatore, nel frattempo, si è vaccinato, o ha fissato l’appuntamento per la vaccinazione, o fornisce un certificato del proprio medico di base che attesta condizione cliniche di accertato pericolo per la salute, tali da giustificare l’esonero o il differimento della vaccinazione (compresa
Le tappe Cinque giorni per fornire giustificazioni, poi l’invito a vaccinarsi. Chi non si presenta, viene sospeso 72 ore dopo
la guarigione dal Covid-19 da meno di tre mesi), o dimostra che le proprie condizioni lavorative sono tali da non comportare il rischio di diffondere l’infezione da coronavirus (e quindi di non rientrare fra le categorie indicate nel decreto legge).
L’operatore ha cinque giorni di tempo per fornire una risposta, dopodiché l’Asl farà un «ultimo tentativo», con un invito formale a sottoporsi al vaccino (con data e ora). Se entro i tre giorni successivi, l’interessato non trasmetterà il certificato di avvenuta vaccinazione, l’Asl accerterà l’inosservanza dell’obbligo, dandone immediata comunicazione scritta all’interessato, all’Ordine professionale di appartenenza o, in alternativa, al datore di lavoro. Saranno loro ad annunciare agli interessati e a rendere effettiva la sospensione dal lavoro (fino al 31 dicembre, a meno che nel frattempo non si facciano vaccinare). E solo a questo punto, sarà verificata la possibilità di adibire l’interessato ad altre attività che non implichino contatti con i pazienti. E qui il problema è (almeno) duplice, visti i numeri: si tratterà, inevitabilmente, di una possibilità residuale (considerato oltretutto che la precedenza verrà data a chi, effettivamente, non può sottoporsi alla vaccinazione), e nasceranno inevitabilmente grossi problemi nell’erogazione dei servizi. Anzitutto nelle case di riposo, settore all’interno del quale si registra il maggior tasso di operatori «no vax»: manca un dato preciso, ma le stime si attestano al 50%.