«Pietrostefani non era un duro Gli arresti? Utili a Macron»
L’ex parlamentare: «Verità nascoste sugli anni Settanta? Leggende»
«Gli arresti degli ex brigatisti? Un trionfalismo eccessivo» dice Marco Boato.
Marco Boato, ex parlamentare e tra i leader di Lotta continua, un pezzo di storia del terrorismo e dell’estremismo di sinistra è ritornato in primo piano con i 7 arresti di Parigi a cui si sono aggiunti ieri Bergamin e Ventura (solo Di Marzio è in fuga). Si chiude per sempre una pagina di storia?
«A mio parere, il presidente Mitterrand, ma dopo di lui anche Chirac, Sarkozy e Hollande, quindi sia di sinistra che di destra, hanno avuto il merito storico di offrire un contributo per disinnescare la spirale del terrorismo in Italia. Nessuno di coloro che, a centinaia, si sono rifugiati in Francia ha più coltivato l’ideologia e la pratica folle della lotta armata. E nessuno di loro ha più compiuto reati. Quella tragica pagina di storia, fortunatamente, è già chiusa da molti anni. L’annuncio trionfale degli arresti ha solo riaperto un dibattito che si era già ripetuto innumerevoli volte, ormai con ruoli stereotipati».
Dal Pd a Fratelli d’Italia la soddisfazione per l’arresto dei riparati d’Oltralpe è stata bipartisan. Lei ha militato in Lotta continua e non ha mai condiviso la violenza, ma come giudica questa svolta?
«Per decenni, nel corso della mia ormai lunga vita, ho combattuto la strategia della tensione e delle stragi e ogni forma di terrorismo, sia di destra che di sinistra, talora anche con qualche rischio personale.
Ma non ho condiviso il trionfalismo quasi generalizzato che ha accolto questa notizia. Visto il comportamento dei presidenti francesi nei decenni precedenti — e nessuno penso possa ritenere che siano stati compiacenti nei confronti del terrorismo — temo che questa “svolta” sia dovuta soprattutto al timore del presidente Macron, in vista delle elezioni dell’anno prossimo, di perdere voti sul versante della destra di Marine Le Pen».
Facciamo un passo indietro: ci ricostruisce il clima di quegli anni Settanta quando nacquero le diverse sigle brigatiste e i gruppi politici extra-parlamentari come Lotta continua?
«Lotta continua, e altre formazioni della nuova sinistra di allora, nacquero verso la fine degli anni ’60, in diretto rapporto con i movimenti studenteschi e operai del “biennio rosso” ’68-’69. Contro questi movimenti si scatenò la strategia della tensione e delle stragi, a partire da Piazza Fontana il 12 dicembre 1969 a Milano e con diversi tentativi golpisti nella prima metà degli anni ’70. Al terrorismo di destra, anche con complicità istituzionali negli apparati dello Stato, cominciò purtroppo a contrapporsi anche un terrorismo di sinistra, illudendosi di potersi sostituire alla forza dei movimenti con la lotta armata. Bisogna tuttavia non ridurre gli anni ’70 solo al terrorismo nelle sue diverse matrici. Sull’onda dei movimenti collettivi e anche del forte movimento femminista, negli anni ’70 e oltre si ottennero sul piano politico-istituzionale molte conquiste per i diritti civili».
Uno degli arresti di spicco è quello di Giorgio Pietrostefani, 77 anni, condannato per l’omicidio del commissario Calabresi. Aveva fama di duro in Lotta continua.
«Giorgio Pietrostefani, insieme ad Adriano Sofri, è stato condannato come mandante dell’omicidio di Calabresi. Ma entrambi si sono sempre proclamati innocenti e hanno seguito tutti gli otto processi. Alla fine, nel processo di revisione, è prevalsa la condanna, e solo allora, nel 2000, Pietrostefani è andato a Parigi, dove aveva una figlia molto piccola. Voglio sfatare l’immagine di “duro” che è prevalsa su di lui. “Duro” era, se così si può dire, il suo carattere: determinato e deciso, totalmente dedito alla causa, finché Lotta continua non si è sciolta alla fine del 1976 nel Congresso di Rimini. Ma “duro” non significa “estremista”: il suo punto di riferimento era sempre stata la classe operaia. E, paradossalmente, finito l’impegno politico, è diventato un dirigente industriale di grande valore».
Un ricordo personale?
«Una riunione degli esponenti di tutta la sinistra extraparlamentare, l’11 dicembre 1971 a Milano, in vista di una grande manifestazione del giorno dopo, secondo anniversario della strage di Piazza Fontana. Ebbene, in quella riunione Pietrostefani è stato non duro, ma durissimo nel respingere le intenzioni di un altro gruppo di voler innescare una sorta di guerriglia di piazza il giorno dopo. La posizione di Pietrostefani alla fine prevalse, e il giorno dopo la manifestazione si fece senza alcun incidente».
Rispondendo alle domande sull’omicidio Calabresi, Pietrostefani disse che «la verità storica non esiste». Il figlio del commissario Calabresi, Mario, ha invece affermato che nel caso di suo padre «verità storica e giudiziaria coincidono». Chi ha ragione?
«È un’affermazione che Pietrostefani avrebbe fatto in un incontro personale che Mario Calabresi gli chiese nel 2019 a Parigi. A mio parere, con rispetto per entrambi, non è vero né che “la verità storica non esiste”, e neppure che “verità storica e giudiziaria coincidono”. Nel caso della morte di Pinelli, precipitato dal quarto piano della questura di Milano, la verità storica è opposta rispetto a quella giudiziaria. E negli ultimi anni si è saputo che in quel piano si erano stanziati molti uomini degli “Affari riservati” del Ministero dell’interno, che guidavano segretamente le indagini, cosa che non è mai stata rivelata dagli uomini dell’ufficio politico della questura di Milano e mai indagata purtroppo dalla magistratura».
Sempre il figlio di Calabresi ha dichiarato al Corriere che lui sarebbe favorevole un gesto di clemenza in cambio della restituzione di pezzi di verità da parte delle persone arrestate. Cosa manca ancora oggi per una ricostruzione precisa della verità storica?
«Sulle vicende che riguardano gli arrestati ormai si conosce tutto ed è una leggenda metropolitana richiedere altra verità. Sono stati del resto tutti e tutte condannati con sentenze definitive. Anche sulle stragi e sul terrorismo di destra si conosce ormai quasi tutto, salvo che è ancora in corso l’ultimo processo sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980».