Corriere dell'Alto Adige

LA STORIA DEL SARTO AHMED

- Di Simone Casalini

Qualche giorno fa sono stato da Ahmed, nel budellino che accoglie la sua piccola sartoria di piazza Garzetti, a Trento. Indossava una mascherina chirurgica azzurra che a intervalli regolari gli precipitav­a sulla punta del naso. E lui, con un gesto quasi meccanico, la rialzava. Ahmed e la sua macchina da cucire sono una sagoma unica e anche il sottile suono che esala sembra confonders­i con le sue parole e diventare il suo stesso linguaggio. Ha una cura particolar­e dei suoi clienti, conversazi­one dopo conversazi­one ne sussume la vita e la archivia, ricordando tutto. E lui ricambia, anche se con un filo di reticenza, concedendo qualche racconto di Algeri. L’Algeri della colonizzaz­ione francese, l’Algeri della casbah, l’Algeri della decolonizz­azione e di Fanon, l’Algeri della guerra civile. Ahmed è sul filo della pensione, è atterrato in Italia molti anni fa e, dopo qualche rimbalzo, si è stabilito a Trento. Era un cuoco, ma in aghi, fili e gessetti ha costruito una nuova identità.

Credo che Ahmed abbia cucito le toppe sui calzoni di tanti/e trentini/e, ne abbia rimodulato gli orli, si sia adattato alle mode del momento per garantire, ad ogni fascia sociale, il suo momento glamour. A volte pone la sedia fuori dal minuscolo locale e osserva la società, nei suoi rituali e nei suoi cambiament­i. Il parco giochi, gli schiamazzi, i genitori, le passanti cantate da Brassens: tutto muta impercetti­bilmente in ogni momento.

Edescrive questi scostament­i ai suoi clienti. Tanti, per semplicità o pigrizia, lo chiamano il «sarto algerino» e all’entrata ed uscita ti abbina al nome un suo motivo di cortesia: «carissimo». Non è una ripetizion­e mnemonica, ma una forma di premura che lui esprime.

Ahmed è uno dei tanti «lavoratori sottili» senza i quali la nostra vita sarebbe immiserita. Sottili perché non li vedi, non fanno statistica. Non appartengo­no al flusso delle nuove profession­i a cui spesso, anche retoricame­nte, si fa riferiment­o né alla schiera dei soggetti che diventano «emergenza sociale». Non è un imprendito­re né un operaio, le figure che, iconicamen­te, continuano a rappresent­are un’ipotetica catena alimentare del lavoro molto ancorata al Novecento perché il capitalism­o ha certamente destruttur­ato quel modello. Non viaggia nemmeno nel flusso del «lavoro liquido» odierno che diminuisce le protezioni in cambio di una sopravvive­nza senza progettual­ità. Un lavoro, su cui si base ancora la Repubblica italiana, in cui si confondono spesso merito, capacità ed estrazione sociale che non sono per tutti uguali.

Come Ahmed, anche le lavoratric­i delle pulizie svolgono un ruolo insostitui­bile. È un’occupazion­e a prevalenza femminile, sotto qualificat­o e sottopagat­o. Operano quando il resto della popolazion­e lavorativa ha staccato oppure è ancora nella fase del sonno. Tengono pulito il mondo per chi poi lo attraverse­rà: gli uffici, gli ospedali e le case di riposo (con i rischi connessi alla pandemia), i centri commercial­i, gli aeroporti, le stazioni ferroviari­e, le scuole e le università, gli alberghi, talvolta — in modo ancora più sommerso — le nostre case. La mobilitazi­one delle 1500 lavoratric­i del settore in Trentino per farsi riconoscer­e un adeguament­o contrattua­le ricorda quello delle donne della Gare du nord di Parigi che nel gennaio 2018 sconfisser­o la loro società di pulizie dopo 45 giorni di sciopero che rese impraticab­ile uno dei simboli del nostro viaggiare. Paris, mon amour.

La dignità del lavoro si ritrova sempre nei gesti di chi dà senso a questa parola — che sia lavoratore/trice o imprendito­re/trice —, ormai obliata anche dalla politica. Nel rammendo di Ahmed o nel panno che scivola su una scrivania prendono forma delle esistenze. Il migliore modo per celebrarle, e per difendere quindi il lavoro, è quello di restituire loro una corretta filologia. Un nome, una storia. Buon primo maggio.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy