Giovani, la quota giusta
L’industriale che ha inventato la Valsoia in un sottoscala quando pochi pensavano all’alimentazione alternativa, parte dall’alto, chiedendo che per legge sia fissato un minimo del 20 per cento di under 40 nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa. Oggi, secondo un’indagine svolta dalla Luiss Business School tra le principali spa di Piazza Affari, l’età media di un amministratore delegato è di 56,3 anni, quella del presidente addirittura di 62,5. Sotto i 40 anni non c’è nemmeno un ceo e solo cinque sono under 50. Certo, l’innalzamento dell’età media dei dirigenti è un fatto comune nelle nazioni avanzate, ma da noi è aggravato dal calo di opportunità per i giovani. Ecco perché l’idea di una riserva del 20% è ragionevole. Una sorta di «quota rosa»: quella prevista per le donne nei cda ha prodotto qualche timido risultato perfino ai piani elevati, ma soprattutto ha dimostrato quanto sia utile avere anche una prospettiva femminile nei board. Sassoli de Bianchi vuole poi un’azione straordinaria per riportare in Italia almeno mezzo milione di giovani espatriati, utilizzando ogni strumento possibile, a partire dalle politiche retributive incentivanti. Infine, considerando che «siamo all’ultimo posto in Europa per la diffusione delle digitals skills, con il 58% degli italiani che non possiede ancora un livello di competenze digitali di base», il cavaliere del lavoro suggerisce la creazione di un distretto informatico che sia un polo di attrazione per i giovani, stimolando pure le startup. La scommessa? Creare una Silicon Valley tricolore nel Sud, in posti dove ragazze e ragazzi «arrivino e si fermino volentieri». Insomma, quella delineata da Sassoli de Bianchi è una «Carta di Bologna» finalizzata a ridare fiducia a un Paese fiaccato non solo dalla pandemia, ma da una stagione troppo lunga dominata dalla gerontocrazia e dalla strenua difesa delle sacche di potere. Se non crediamo nei giovani, d’altronde, come possiamo guardare con ottimismo al domani?