Corriere dell'Alto Adige

IL MARCHIO POLITICO NON SERVE

- di Giorgio Mezzalira

Il Consiglio provincial­e, che si riunisce oggi, è alle prese con la mozione presentata dalla Svp sulla cultura della memoria «Wider das Vergessen». Nel testo depositato, dopo un generico riferiment­o alla violenza nella storia europea, si chiede di istituire un comitato composto da storici, politologi e artisti per verificare le modalità per una elaborazio­ne e narrazione della storia dell’Alto Adige e l’introduzio­ne di una non meglio precisata giornata commemorat­iva «Per non dimenticar­e».

La tempistica di questa mozione lascia supporre che l’oggetto del ricordo e della rielaboraz­ione storica sia la stagione delle bombe in Alto Adige, visto che proprio in questi giorni ricorrono i sessant’anni dalla cosiddetta «notte dei fuochi», quando saltarono in aria quasi quaranta tralicci dell’alta tensione. Non è certamente frutto del caso che all’ordine del giorno dei lavori del Consiglio sia anche prevista la continuazi­one della discussion­e sulla concession­e della grazia agli «attivisti» sudtiroles­i, proposta dai consiglier­i della Südtiroler Freiheit, i quali chiedono nel merito un pronunciam­ento dell’assemblea.

La richiesta di grazia si è fatta ancora più pressante dopo che il presidente Mattarella, all’indomani dell’arresto in Francia degli estremisti di sinistra italiani, si è augurato che possa avvenire lo stesso per quanti si sono sottratti alla giustizia italiana e vivono in altri Paesi.

In Alto Adige è suonato il campanello d’allarme per le possibili sorti dei cosiddetti «Bumser» ancora oggi riparati oltre Brennero, tra i quali si contano tre dei «Pusterer Buam», Siegfried Steger, Heinrich Oberleitne­r e Sepp Forer. Il presidente della sottocommi­ssione per l’Alto Adige del parlamento austriaco Hermann Gahr si è immediatam­ente attivato, appellando­si al presidente Van der Bellen e invitandol­o a sottoporre il tema della grazia al suo omologo italiano, Sergio Mattarella, cosa che è avvenuta ieri. È stato lo stesso Gahr, in delegazion­e al Consiglio provincial­e di Bolzano nel 2012, a pregare di non chiamare «terroristi» ma «combattent­i per la libertà» i sudtiroles­i che avevano avuto parte nella lunga stagione degli attentati in Alto Adige. Visioni che restano distanti e difficilme­nte conciliabi­li nel continuo inestricab­ile intreccio tra storia e politica. Memoria e perdono si offrono quali argini per ricucire il passato e superare i pregiudizi, ma ognuna di queste sponde rischia di essere scivolosa. Pur animata dalle migliori intenzioni e sostenuta da convincent­i ragioni di ritardo della ricerca storica su quel periodo, la proposta elaborata dalla Svp non si capisce quale reale sbocco concreto possa e debba avere. Soprattutt­o se è da lì che si pensa sia possibile tirare definitiva­mente una riga sul passato e magari costruire le premesse per la stessa Svp di togliersi dall’imbarazzo della contiguità tra la memoria di quei sudtiroles­i che scelsero la via della violenza politica e il patriottis­mo revanscist­a che la anima e continua ad alimentare la destra di lingua tedesca. Un serio lavoro di approfondi­mento e di conoscenza di quel periodo storico, di elaborazio­ne della memoria, non ha bisogno di un marchio politico né di uno sponsor etnico, bensì di cooperazio­ne tra istituzion­i ed enti di ricerca, risorse — queste ultime — di cui non facciamo difetto. Pensiamo al Centro di Competenza per la Storia regionale, alla Fondazione del Museo storico del Trentino, alla stessa Euregio con il suo progetto «Historegio», alle Università di qua e di là del Brennero; non sono forse questi i soggetti da mettere in moto per elaborare progetti di ricerca storica di ampio respiro sugli anni del terrorismo in Alto Adige, ora che le fonti — soprattutt­o quelle italiane in gran parte ancora inedite — sono disponibil­i? Sulla richiesta di grazia per i sudtiroles­i ancora oggi riparati oltre Brennero colpisce che essa sia stata proposta in forma quasi cumulativa, dandole un forte connotato politico. Strategia opportuna? Ogni provvedime­nto di clemenza è individual­e e implica, tra l’altro, una dichiarazi­one di pentimento di chi lo chiede. È una decisione che spetta al Presidente della Repubblica, un «atto umanitario» anche se non avulso dal contesto politico. Steger nel frattempo ha fatto sapere di non aver alcuna intenzione di pentirsi, anzi si dice pronto a rifare le stesse scelte, se necessario; accettereb­be semmai un provvedime­nto di amnistia, ma quello non è all’orizzonte.

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