Terre di mezzo
Alla Galleria Casciaro di Bolzano la nuova mostra di Gotthard Bonell Opere inedite del pittore altoatesino che indaga vette e contrasti di luce
Le montagne diventano Terre di mezzo, nella nuova mostra del pittore altotesino Gotthard Bonell, che si aprirà venerdì alla Galleria Alessandro Casciaro di Bolzano, a cura di Gunther Oberhollenzer.
La montagna è uno dei temi ricorrenti e più amati dal pittore, nato nel 1953 a Trodena, nel mezzo del parco naturale di Monte Corno in provincia di Bolzano, dove vive e lavora. I 23 nuovi dipinti in questa esposizione sono solo in parte dedicati alle montagne. La mostra Terre di mezzo, resterà visitabile alla Galleria Casciaro fino all’ 8 gennaio, dal lunedì al venerdì (1012,30 e 15-19), il sabato solo il mattino dalle 10 alle 12.30.
Bonell, perchè il titolo «Terre di mezzo»?
«Non è una mostra sulla montagna, ma una mostra piena di contrasti - spiega Gotthard Bonell - ci saranno i miei dipinti realizzati in questi ultimi due anni di chiusure e limitazioni, anche durante l’inverno scorso in cui il mio studio era immerso nella neve e nel silenzio. Il titolo “Terre di mezzo” allude a uno stato che si colloca fra due mondi. Ci saranno i grandi paesaggi di montagna, ma anche un nuovo ciclo di opere nelle quali trasformo la montagna in un processo che dal dipinto figurativo porta all’astrazione».
Qual è il focus della mostra?
«È una mostra piena di contrasti , anche dove dipingo montagne, a interessarmi di più sono i contrasti luminosi, certe condizioni di luce. E dove parto da un soggetto figurativo, approdo all’astratto».
Quali tecniche ha utilizzato?
«Uso sempre il disegno, sia a matita che a carboncino e penna, anche per approdare ai dipinti a olio. Poi ho sviluppato una particolare tecnica a collage, giocando con sovrapposizioni di carte velate, lasciandomi trasportare anche dall’inconscio, senza sapere cosa diventerà quell’immagine della montagna da cui sono partito».
Si considera un artista figurativo o astratto?
«Sono sempre stato un pittore figurativo, ma per me prima della montagna valgono le rocce, i riflessi, il materiale, quando faccio ritratti vado alla ricerca del mondo interiore. Così, soprattutto ultimamente, non posso più considerarmi un pittore solo figurativo».
È difficile cambiare strada?
«Per me è molto importante, altrimenti si rischia di restare imprigionati in un proprio stile, facilmente riconoscibile e diventare ripetitivi. Per trovare se stessi è necessario sapere anche distruggere ciò che si è fatto, imboccare una deviazione. E poi per me tutti i dipinti, anche la Gioconda, sono alla fine astratti: la figura non conta, la si sceglie perché stimola un pensiero, la si usa per dipingere, per lavorare sulla superficie con colori e linee. È come con la musica, che per me è importantissima: anche se un’opera esprime una certa tematica, ciò che conta alla fine sono i suoni. A mio parere non conta quello che diciamo, ma come lo diciamo».
Quali sono gli artisti a cui si ispira o che più hanno influenzato la sua ricerca?
«Sono sempre partito dal fascino per il Rinascimento, il periodo dell’arte per me in assoluto più importante e mai più superato. Ma ci sono tanti artisti, anche del mio tempo, che mi hanno influenzato: quando studiavo a Brera, andavo spesso nello studio di Karl Plattner. E tra gli artisti che ho più amato ci sono David Hockney, Lucian Freud, Giacometti, importantissimi anche isolati da gruppi o correnti».
La sua predilezione per la montagna come soggetto da dipingere, che significato ha?
«La montagna mi circonda da sempre, ma mi ispiro alla montagna soprattutto come struttura, come essenzialità della pietra, come espressione dell’evoluzione del mondo. Non mi interessano in particolare lo Sciliar o il Catinaccio: non è la superficie che cerco, ma l’essenza».