«Persa l’occasione di essere l’avanguardia Ma in Alto Adige manca l’interesse politico»
Il rammarico di Pittini, terapista del dolore: «Le competenze ci sarebbero state» La previsione: fabbisogno in aumento. «Servirebbero almeno 50 chili l’anno»
BOLZANO «Avevamo l’occasione di essere all’avanguardia in Italia, ma l’abbiamo persa». Roberto Pittini, terapista del dolore e anestesista di Merano, oltre che capo del comitato scientifico del Cannabis social club di Bolzano, non nasconde il proprio rammarico per la mancata adesione, da parte della Provincia, al bando del Ministero per la coltivazione della cannabis. Al di là dei tecnicismi, quello che manca, per l’esperto, è «l’appoggio politico».
Dottor Pittini, nel trattamento di quali patologie risulta efficace l’utilizzo della cannabis?
«Purtroppo non è una cura, ma un rimedio contro i sintomi, per migliorare la qualità della vita dei pazienti. I campi di applicazione sono abbastanza ampi, e la letteratura scientifica in materia in aumento. L’impiego principale è nella terapia del dolore, ma anche in oncologia, e per diverse sindromi neurologiche, per il glaucoma refrattario, per alcune forme di anoressia e per la sindrome di Gilles de la Tourette»
Secondo lei sarebbe possibile coltivarla a Laimburg?
«Perché no? Stiamo parlando di un centro di ricerca e sviluppo. Certo, i paletti ci sono, le difficoltà tecniche potenzialmente anche, ma le competenze, molto probabilmente, ci sarebbero state tutte. Il punto è che è manca l’appoggio politico a una scelta in questa direzione».
Che vantaggi avrebbero potuto trarre i pazienti altoatesini?
«I vantaggi non sarebbero andati direttamente a loro. La produzione sarebbe confluita in quella nazionale, aumentando la fornitura in tutto il territorio. Cosa che sarebbe auspicabile, piuttosto che dipendere dall’importazione. Per la quale, oltretutto, è previsto un tetto massimo». Cioè?
«Uno dei motivi per cui non si riesce a soddisfare il fabbisogno nazionale, è anche perché, costantemente, ogni due mesi si verificano stop alla fornitura nelle farmacie. E questo, sia per la mancata produzione sia, appunto per il tetto all’importazione, fissato a 250 chili l’anno. Il Ministero ne aveva autorizzati ulteriori 100, di provenienza canadese, ma non ho dati aggiornati».
Qual è il fabbisogno, in Alto Adige?
«Avevamo stimato 35 chili l’anno, e ci eravamo sentiti dire che eravamo esagerati. Ma, probabilmente, il dato è ancora sottostimato. Studi autorevoli di fonti israeliane e canadesi, realtà all’avanguardia sia per quel che riguarda la produzione, sia per l’utilizzo della cannabis, parlano della possibilità che l’utilizzo si attesti all’1,3% della popolazione. Arrotondando per difetto, e rapportandolo alla popolazione italiana, arriveremmo a 600 mila persone, per 10-20 tonnellate l’anno. Tante, ma nel giro di qualche anno ci si potrebbe arrivare. Per l’Alto Adige, equivarrebbe a circa 50 chili».
L’utilizzo è ancora stigmatizzato?
«Purtroppo sì, tanto dai medici quanto dai pazienti. La cannabis è un rimedio usato da millenni, non da anni. Ma se fino al secolo scorso non si sapeva perché e come funzionasse, oggi la ricerca lo ha chiarito. Eppure, resta l’equivalenza “cannabis uguale droga”. Che di scientifico, non ha proprio nulla».
E ora cosa succederà?
«Aspettiamo che scadano i termini del bando. Ci sono già altre realtà italiane che si sono proposte, vediamo quante e quali saranno. Certo, tra autorizzazione, produzione e commercializzazione, se l’iter partisse oggi stesso, vedremmo i risultati non prima dell’anno prossimo. Ma se non si comincia a seminare, non si raccoglierà mai. E questo vale a maggior ragione per la cannabis».
La cannabis è utile per migliorare la qualità della vita di molti pazienti. Ma l’uso è ancora stigmatizzato