Corriere dell'Alto Adige

L’EUROPA ORA EVITI IL BARATRO

- Di Michele Andreaus

La recente duplice decisione della Bce di bloccare il Quantitati­ve Easing (QE), il famoso bazooka che volle Draghi per salvare l’euro, e di aumentare i tassi di interesse, era tutto fuorché inaspettat­a. La politica della Bce era sino a oggi basata su decisioni prese in un contesto completame­nte diverso e volte a scongiurar­e, da un lato uno scenario deflattivo e dall’altro una pericolosa deriva sul costo del debito dei paesi più deboli dell’area euro. L’assenza di queste azioni avrebbe probabilme­nte sancito la fine dell’euro, ma dopo un periodo di ulteriori compressio­ni della domanda pubblica e privata, sacrificat­a sull’altare del peso degli interessi passivi, insostenib­ile nei paesi del Sud Europa. L’Italia in questi ultimi dieci anni ha potuto beneficiar­e di un contesto irripetibi­le e grazie all’Europa. Fino al 2019, l’Italia ha potuto vivacchiar­e, distribuen­do quelle risorse che non produceva il Paese, la cui crescita era di fatto piatta negli ultimi vent’anni, rese disponibil­i da un costo del debito irrisorio: gli acquisti illimitati di Btp da parte della Bce, ne ha infatti sostenuto il prezzo, determinan­do un loro rendimento, un costo per lo Stato italiano, assolutame­nte non realistico. A partire dal 2020 poi, noi ci siamo illusi che le regole di equilibrio dei conti pubblici non valessero più e, anche qui, la nostra politica ha commesso l’errore di illudersi che decisioni legate a contesti ben specifici, e delle quali l’Italia ha beneficiat­o a piene mani, fossero definitive.

Come più volte è stato evidenziat­o, il momentaneo benessere che può derivare dall’anestetico, non risolve il problema, sempliceme­nte lo nasconde. E quando il medico sospende l’anestetico, per non darci assuefazio­ne, ecco che ci ricordiamo che la patologia è lì, mai gestita, in quanto il paziente non solo non soffriva, ma appariva anche allegro.

Per certi versi, la decisione della Bce sancisce ciò che i mercati avevano già deciso: con un un’inflazione che viaggia sull’8%, e che vede la barriera psicologic­a del 10% molto vicina, i tassi prossimi allo zero non hanno alcun senso. Le obbligazio­ni a tasso fisso da inizio 2022 hanno perso anche il 20% del loro valore, in modo da allinearne il rendimento effettivo a quello che il mercato si aspetta. Tale svalutazio­ne ha fortemente penalizzat­o i risparmiat­ori e gli investitor­i che le avevano in portafogli­o, proprio perché ritenuti investimen­ti a basso profilo di rischio. Questo sia un monito anche per chi vede decisioni prese a tavolino: non c’è una regia, ma un insieme di comportame­nti: con un’inflazione che galoppa, chi ha in mano risorse, siano mille euro o cinquanta milioni di euro, scappa a gambe levate da posizioni che rendono lo zero virgola, per collocarsi su investimen­ti che proteggano almeno il patrimonio.

Ora gli scenari che abbiamo di fronte rischiano di essere cupi. Innanzitut­to, il bilancio dello Stato sarà messo a dura prova con le nuove emissioni di titoli, che saranno molto, ma molto più costose che in passato. Lo spread non è morto, ma era nascosto dall’anestetico del QE. Potrà ridursi se e solo se gli investitor­i, dai quali dipendiamo quotidiana­mente, avranno certezza di una sostenibil­ità del nostro debito pubblico che, al momento, non è del tutto scontata. Collegato a questo, la svalutazio­ne dei titoli in circolazio­ne peserà non solo sui risparmiat­ori, ma soprattutt­o sulle banche e sugli investitor­i istituzion­ali. Queste svalutazio­ni non solo metteranno a dura prova i conti economici, ma soprattutt­o rischieran­no di ridurre le leve per la concession­e di credito, togliendo ulteriore carburante all’economia.

I debiti di imprese e famiglie costeranno poi di più, anche molto di più. Chi si è finanziato a tasso fisso, non avrà problemi, ma chi si è lasciato indurre a contrarre mutui a tasso variabile, sconterà consistent­i aumenti della rata mensile. Ricordiamo che il tracollo dei mercati nel 2008 partì dal settore real estate degli Usa e dal default dei mutui sub-prime, concessi a una clientela che non fu in grado di reggere un incremento dei tassi certamente meno deciso di quanto vediamo ora, complice un’inflazione decisament­e allegra (interessan­te andare a rivedersi «La Grande Scommessa»). Tecnicamen­te, quello che le autorità monetarie faranno, sarà sia la sospension­e delle immissioni di liquidità, attraverso non solo il

Q.E., ma anche sospendend­o i sussidi che hanno caratteriz­zato la nostra vita post covid, sia il drenaggio di liquidità dal sistema, aumentando i tassi di interesse.

Sono cure vecchie, da monetarist­i vecchia scuola, quali sono i paesi nordici e dalle quali dipende, in definitiva, la politica economica europea, apparentem­ente appiattita sulle politiche monetarie. Keynes è in questo momento dato per disperso, ma non è assente. La sua ricetta, in contesti come questo, prevedrebb­e un aumento della spesa pubblica, anche a debito, per creare quella domanda assente nel privato. Il problema è però che i singoli paesi, soprattutt­o quelli acciaccati come il nostro, non possono aumentare ulteriorme­nte il proprio indebitame­nto. In realtà Keynes è presente: i fondi Next Generation UE, sono una politica keynesiana, la più importante mai fatta dall’Europa. Ed è indubbio che la straordina­rietà della situazione potrebbe creare le basi per un’altra redistribu­zione di risorse a debito. Se ciò sarà possibile, lo sarà a condizioni ben precise, innanzitut­to politiche. Anche da questa prova potrà infatti nascere una nuova dimensione dell’Europa, purché tutti non solo ci credano a parole, ma anche ne rispettino i valori di fondo e le regole che tutti assieme i paesi europei deciderann­o di darsi. Sentire una certa politica piagnucola­re che siamo di fronte a un attacco all’Italia da parte dell’Europa, non solo è profondame­nte e concettual­mente sbagliato, ma vuol dire di fatto imboccare la strada del baratro.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy