L’EUROPA ORA EVITI IL BARATRO
La recente duplice decisione della Bce di bloccare il Quantitative Easing (QE), il famoso bazooka che volle Draghi per salvare l’euro, e di aumentare i tassi di interesse, era tutto fuorché inaspettata. La politica della Bce era sino a oggi basata su decisioni prese in un contesto completamente diverso e volte a scongiurare, da un lato uno scenario deflattivo e dall’altro una pericolosa deriva sul costo del debito dei paesi più deboli dell’area euro. L’assenza di queste azioni avrebbe probabilmente sancito la fine dell’euro, ma dopo un periodo di ulteriori compressioni della domanda pubblica e privata, sacrificata sull’altare del peso degli interessi passivi, insostenibile nei paesi del Sud Europa. L’Italia in questi ultimi dieci anni ha potuto beneficiare di un contesto irripetibile e grazie all’Europa. Fino al 2019, l’Italia ha potuto vivacchiare, distribuendo quelle risorse che non produceva il Paese, la cui crescita era di fatto piatta negli ultimi vent’anni, rese disponibili da un costo del debito irrisorio: gli acquisti illimitati di Btp da parte della Bce, ne ha infatti sostenuto il prezzo, determinando un loro rendimento, un costo per lo Stato italiano, assolutamente non realistico. A partire dal 2020 poi, noi ci siamo illusi che le regole di equilibrio dei conti pubblici non valessero più e, anche qui, la nostra politica ha commesso l’errore di illudersi che decisioni legate a contesti ben specifici, e delle quali l’Italia ha beneficiato a piene mani, fossero definitive.
Come più volte è stato evidenziato, il momentaneo benessere che può derivare dall’anestetico, non risolve il problema, semplicemente lo nasconde. E quando il medico sospende l’anestetico, per non darci assuefazione, ecco che ci ricordiamo che la patologia è lì, mai gestita, in quanto il paziente non solo non soffriva, ma appariva anche allegro.
Per certi versi, la decisione della Bce sancisce ciò che i mercati avevano già deciso: con un un’inflazione che viaggia sull’8%, e che vede la barriera psicologica del 10% molto vicina, i tassi prossimi allo zero non hanno alcun senso. Le obbligazioni a tasso fisso da inizio 2022 hanno perso anche il 20% del loro valore, in modo da allinearne il rendimento effettivo a quello che il mercato si aspetta. Tale svalutazione ha fortemente penalizzato i risparmiatori e gli investitori che le avevano in portafoglio, proprio perché ritenuti investimenti a basso profilo di rischio. Questo sia un monito anche per chi vede decisioni prese a tavolino: non c’è una regia, ma un insieme di comportamenti: con un’inflazione che galoppa, chi ha in mano risorse, siano mille euro o cinquanta milioni di euro, scappa a gambe levate da posizioni che rendono lo zero virgola, per collocarsi su investimenti che proteggano almeno il patrimonio.
Ora gli scenari che abbiamo di fronte rischiano di essere cupi. Innanzitutto, il bilancio dello Stato sarà messo a dura prova con le nuove emissioni di titoli, che saranno molto, ma molto più costose che in passato. Lo spread non è morto, ma era nascosto dall’anestetico del QE. Potrà ridursi se e solo se gli investitori, dai quali dipendiamo quotidianamente, avranno certezza di una sostenibilità del nostro debito pubblico che, al momento, non è del tutto scontata. Collegato a questo, la svalutazione dei titoli in circolazione peserà non solo sui risparmiatori, ma soprattutto sulle banche e sugli investitori istituzionali. Queste svalutazioni non solo metteranno a dura prova i conti economici, ma soprattutto rischieranno di ridurre le leve per la concessione di credito, togliendo ulteriore carburante all’economia.
I debiti di imprese e famiglie costeranno poi di più, anche molto di più. Chi si è finanziato a tasso fisso, non avrà problemi, ma chi si è lasciato indurre a contrarre mutui a tasso variabile, sconterà consistenti aumenti della rata mensile. Ricordiamo che il tracollo dei mercati nel 2008 partì dal settore real estate degli Usa e dal default dei mutui sub-prime, concessi a una clientela che non fu in grado di reggere un incremento dei tassi certamente meno deciso di quanto vediamo ora, complice un’inflazione decisamente allegra (interessante andare a rivedersi «La Grande Scommessa»). Tecnicamente, quello che le autorità monetarie faranno, sarà sia la sospensione delle immissioni di liquidità, attraverso non solo il
Q.E., ma anche sospendendo i sussidi che hanno caratterizzato la nostra vita post covid, sia il drenaggio di liquidità dal sistema, aumentando i tassi di interesse.
Sono cure vecchie, da monetaristi vecchia scuola, quali sono i paesi nordici e dalle quali dipende, in definitiva, la politica economica europea, apparentemente appiattita sulle politiche monetarie. Keynes è in questo momento dato per disperso, ma non è assente. La sua ricetta, in contesti come questo, prevedrebbe un aumento della spesa pubblica, anche a debito, per creare quella domanda assente nel privato. Il problema è però che i singoli paesi, soprattutto quelli acciaccati come il nostro, non possono aumentare ulteriormente il proprio indebitamento. In realtà Keynes è presente: i fondi Next Generation UE, sono una politica keynesiana, la più importante mai fatta dall’Europa. Ed è indubbio che la straordinarietà della situazione potrebbe creare le basi per un’altra redistribuzione di risorse a debito. Se ciò sarà possibile, lo sarà a condizioni ben precise, innanzitutto politiche. Anche da questa prova potrà infatti nascere una nuova dimensione dell’Europa, purché tutti non solo ci credano a parole, ma anche ne rispettino i valori di fondo e le regole che tutti assieme i paesi europei decideranno di darsi. Sentire una certa politica piagnucolare che siamo di fronte a un attacco all’Italia da parte dell’Europa, non solo è profondamente e concettualmente sbagliato, ma vuol dire di fatto imboccare la strada del baratro.