Dall’idea di Kessler una sfida vincente Nel 1962 nasce l’università, Trento svolta
Sono passati sessant’anni da quando l’Università entrò prepotentemente nella storia della città di Trento.
Era il novembre del 1962 quando si tenne la cerimonia di inaugurazione dell’Istituto superiore di Scienze sociali, gli studenti portavano giacca e cravatta, ma ben presto avrebbero preferito indossare l’eskimo: nel 1964 i primi cortei, nel 1966 la prima occupazione dell’università. La città inizialmente era curiosa, poi furiosa, e fin dal Sessantotto c’è chi voleva «cacciare da Trento la plebaglia dei senza-Dio». I «sociologi» quell’anno l’avevano fatta grossa: uno degli studenti — Paolo Sorbi — entrò nel Duomo interrompendo la predica.
TRENTO Sono passati sessant’anni da quando l’Università entrò prepotentemente nella storia della città di Trento.
Era il novembre del 1962 quando si tenne la cerimonia di inaugurazione dell’Istituto superiore di Scienze sociali, gli studenti portavano giacca e cravatta, ma ben presto avrebbero preferito indossare l’eskimo: nel 1964 i primi cortei, nel 1966 la prima occupazione dell’università. La città inizialmente era curiosa, poi furiosa, e fin dal Sessantotto c’è chi voleva «cacciare da Trento la plebaglia dei senzaDio». I «sociologi» quell’anno l’avevano fatta grossa: uno degli studenti — Paolo Sorbi — entrò nel Duomo interrompendo la predica. «Non è vero», disse a scena aperta, generando uno shock in tutta città. Sociologia, nel bene e nel male, stravolse il capoluogo, obbligando i residenti a fare i conti con un’ondata travolgente. Fin dai primi anni migliaia di studenti arrivarono a Trento da tutta Italia, nel pieno degli Anni Sessanta del baby boom, della Guerra del Vietnam, della contestazione globale che coinvolse gli Stati Uniti e l’Europa, imponendo una rivoluzione, prima ancora che politica, culturale.
Fu di Bruno Kessler l’idea dell’Università di Trento, anche in questo caso per evitare di relegare il Trentino al destino di un territorio «piccolo e solo». Voleva una facoltà di «Scienze sociali», per creare «la classe dirigente del domani». La Democrazia Cristiana — il partito di maggioranza assoluta nel Trentino di allora — seguì la suggestione del’allora presidente della Provincia. Nel luglio del 1962 il Consiglio provinciale votò a favore: 19 sì e un unico no, quello dell’avvocato Sandro Canestrini del Pci, contrario a quella che i comunisti definivano «la facoltà di democristianologia». I comunisti cambiarono idea pochi anni dopo, e lo stesso Canestrini fu tra i protagonisti — vicino agli studenti — degli anni più caldi, anche se tra il movimento studentesco e la sinistra istituzionale il rapporto fu alterno. Lamberto Ravagni, partigiano e segretario del Pci trentino, all’inizio degli anni ’70 si scagliò contro gli studenti di Lotta Continua: «Sono provocatori anticomunisti dipinti di rosso».
Tornando indietro agli eventi che anticiparono la grande contestazione globale del Sessantotto, è del ’66 la prima occupazione, preceduta da mesi di manifestazioni e sit-in: «Sociologia rimanga tale e non diventi Scienze politiche». Una protesta anche la città approvava, con i cittadini che firmavano gli appelli degli studenti. Poco dopo, la seconda occupazione: «Troppa matematica, saremo sociologi non tecnocrati».
E in quell’anno gli studenti si appropriano a poco a poco del palazzo di via Verdi: organizzano anche uno spettacolo teatrale in stile Living Theatre che scandalizza i «benpensanti» e che porterà alle prime denunce, per offese agli Stati Uniti e alla Coca Cola. Nel 1967 gli scontri di piazza contro i fascisti che celebravano il ventennale dell’Msi, poi la «Settimana del Vietnam»: dibattiti, mostre, tazebao. Poi la direzione chiama la polizia, che sgombera la facoltà, e così la protesta coinvolge le strade di Trento.
Arriva così il 1968, con la terza storica occupazione: gli studenti chiedono di scegliere gli argomenti dei corsi, di poter partecipare alla gestione dell’università. E nello stesso anno viene nominato il Comitato ordinatore, con nomi di eccellenza: Norberto Bobbio, Marcello Boldrini, Beniamino Andreatta, eminenze della cultura che sapranno dialogare nelle assemblee permanenti con Marco Boato, Mara Cagol, Renato Curcio, Mauro Rostagno.
Nel ’68, all’apice delle protese, alla direzione della facoltà arriva Francesco Alberoni che inaugura l’«Università critica», un grande esperimento di didattica partecipata. Gli studenti però non dimenticano le manifestazioni, anche eclatanti: quando arriva a Trento l’allora Capo dello Stato Giuseppe Saragat per visitare la città per il cinquanla
tesimo dell’annessione del Trentino all’Italia, il corteo presidenziale viene interrotto ben due volte, e in una di queste la studentessa Claudia Rusca si butta sotto la macchina che trasporta l’illustre ospite.
Nonostante la montante rabbia dei trentini — che culminerà in un’imponente manifestazione organizzata dalla Dc e dagli Alpini in congedo, che se non fosse stato per presenza della celere avrebbe potuto degenerare — Bruno Kessler continua a difendere la sua «creatura» e la novità dell’«Università critica» inaugurata da Alberoni, arrivando a dire davanti al Consiglio provinciale che «la nostra è una facoltà nuova, e le sperimentazioni che vi si compiono ci arricchiscono».
Gli anni ’70 iniziano con nuove occupazioni, nuove manifestazioni, anche violente. Sono gli anni degli «studenti e operai uniti nella lotta», gli anni in cui il deputato ex repubblichino dell’Msi Andrea Mitolo e il sindacalista di destra Gastone Del Piccolo sono accusati di aver accoltellato un dipendente della Ignis, portati in corteo da Gardolo fino in centro città con i polsi legati, con un cartello al collo con scritto: «Siamo fascisti e abbiamo accoltellato tre operai».
Le battaglie politiche si radicalizzano, per alcuni anche con l’approdo alla lotta armata. Ma è un’altra storia questa, che non ha più a che fare con Trento, ma che coinvolgerà l’Italia intera nei successivi «Anni di Piombo».