IL RITMO LENTO DELLA NATURA
Arte Sella è ormai considerata uno dei siti di land art più importanti d’Europa, anche perché continua a evolvere, a rinnovarsi. Sabato scorso l’inaugurazione dell’ultima opera, Physis, di Arcangelo Sassolino, ha segnato una svolta, che solleva questioni non solo estetiche: si passa dalla land art classica a una versione in cui anche la tecnologia ha una parte rilevante. Si tratta di un’opera solo apparentemente statica: due splendidi massi di granito della val Rendena del peso di 40 tonnellate, collegati da una barra d’acciaio che li muove usando l’energia di un pannello solare, con un ritmo lento e distribuito lungo la giornata. Il movimento non è percepibile se non decidendo di dedicargli del tempo, osservando in diversi momenti il variare della lunghezza della barra: i due blocchi si spostano, avvicinandosi e allontanandosi pochi millimetri al minuto durante la giornata, in una sorta di respiro, è stato detto, in un ritmo ripetuto ma di fatto impercettibile. L’allusione al tempo della natura è evidente: a quello giornaliero delle piante, o a quello infinitamente lento delle rocce, cui troppo spesso non facciamo caso, impegnati come siamo in attività a velocità molto diversa e sempre più accelerata.
La scelta tuttavia appare paradossale: Sassolino presenta una macchina, quindi qualcosa di tecnico, per rappresentare la natura; la scelta può essere apparire spiazzante.
Il titolo fornisce alcuni spunti: «Physis» è la parola greca che indica la generazione e la crescita di un essere vivente. Il latino la traduce con «natura», participio futuro del verbo «nasci» e indica quindi ciò che sta per nascere e che può generare. L’etimologia evidenzia un aspetto dinamico, indica qualcosa che si genera e si trasforma continuamente dal suo interno, vive ed evolve. Gli antichi dicevano: la natura ama nascondersi, è impossibile fissarla in un solo momento perché continuamente cambia, è il contrario di un’essenza stabile.
La tecnica è stata pensata tradizionalmente come un suo opposto. La natura ha il proprio principio in se stessa, ha la capacità di autoregolarsi e di riprodursi, mentre la tecnica è basata su un progetto umano che la guida dall’esterno e non ha la capacità, almeno fino a questo momento, di rigenerarsi autonomamente. L’opera di Sassolino mette in tensione i due opposti: come stanno insieme? In realtà entrambi, in modi diversi, sono elementi dinamici, e per questo l’agire tecnico sulla natura non è in linea di principio una profanazione, se asseconda la cangiante capacità di metamorfosi della natura, sempre che ne rispetti le regole e sia fedele alla sua logica e non voglia capovolgerla. Come sappiamo tuttavia l’irresistibile spinta al futuro della tecnica, che corrisponde anche a un aspetto del nostro cervello ed è contrassegno della creatività della nostra specie, eccede spesso la nostra capacità di previsione sul lungo periodo. Non tutte e le conseguenze dell’azione della tecnica sulla natura sono sotto il nostro controllo, sfuggono a previsioni poco lungimiranti, prendono direzioni diverse da quanto progettato, come è ben visibile nel cambiamento climatico di questi giorni.
L’opera originale di Arcangelo Sassolino si ispira a questi temi, e mette a fuoco un ritmo lento ma inesorabile: l’apertura e la chiusura dell’opera ci costringe a fare attenzione a un tempo non umano, che nei due blocchi di granito allude al tempo geologico, al tempo che non percepiamo, che diamo per scontato e non stiamo ad ascoltare, ma che da sempre rende vivo il nostro pianeta. Aldo Leopold, uno dei ispiratori della wilderness, ha scritto nel 1949 che occorre imparare a «pensare come una montagna». Il granito, roccia che fino a fine Settecento si credeva fosse la roccia originaria, la più antica, quella che svela la storia della terra, ben rappresenta questo insieme di significati: la Terra è un pianeta vivo anche nel suo aspetto apparentemente più stabile e immodificabile, a patto che si presti attenzione ai suoi tempi, che non sono quelli della storia umana recente. Possiamo entrare in sintonia con la lentezza della natura se vorremo essere fedeli alla Terra e alla sua logica organica e creatrice anche quando agiamo su di essa. Pur nel riconoscimento dell’alterità dei tempi del pianeta rispetto ai nostri, anche la roccia, col suo aspetto inorganico resta sempre la base, troppo spesso disconosciuta, della nostra vita: è a questo che la nuova opera di Arte Sella ci invita a fare attenzione.