«Architetta», il titolo cambia genere
La bolzanina Lucich apripista: è tra le prime a ottenere il diploma al femminile
La bolzanina Valentina Lucich, laureata in architettura a Vienna, ha superato in gennaio l’esame di Stato per l’abilitazione alla professione. Sulla pergamena ministeriale che certifica l’abilitazione viene però usata di prassi la parola maschile «architetto», anche se riferita alle donne. Lucich ha quindi chiesto e ottenuto che venisse scritto «architetta». Si tratta di uno dei primi casi in Italia. «L’ostacolo è culturale» spiega Lucich.
BOLZANO «Architetta è una parola italiana. Ho solo chiesto che venisse usata». È con disarmante semplicità che la bolzanina Valentina Lucich spiega il suo gesto: ha chiesto che l’Università di Bologna declinasse il nome della professione al femminile, sulla pergamena ministeriale che certifica la sua abilitazione all’esercizio della professione. Dopo essersi laureata a Vienna, Lucich in gennaio ha superato l’esame di Stato all’università di Bologna, chiedendo poi che sul documento figurasse «architetta» e non «architetto».
«Anche perché mi chiamo Valentina e non Valentino. La mia richiesta, in un primo tempo era stata rifiutata dall’università, per il solo motivo che il termine architetta non era previsto — racconta Lucich — Allora ho deciso di insistere, perché mi sembrava giusto, con l’aiuto di una rete di donne determinate quali la professoressa Giovanna Cosenza, di Laura Onofri Grisetti e Vera Gheno, e anche di RebelArchitette, un team a sostegno della professione al femminile che ha sostenuto anche formalmente la mia richiesta».
RebelArchitette non sono del resto nuove a queste battaglie, essendo state tra le promotrici del timbro con la dicitura «architetta» al femminile, realizzato per la prima volta alcuni anni fa dall’Ordine degli architetti di Bergamo. «Alla fine l’Università di Bologna ha accettato di scrivere architetta: l’autorizzazione è venuta dal Comitato unico di garanzia dell’ateneo assieme alla delegata al rettore per l’uguaglianza e le pari opportunità, Cristina Demaria. «L’Alma Mater Studiorum è anche la prima università in Italia a declinare i certificati di abilitazione al femminile» spiega Lucich, che ieri ha partecipato nello stesso ateneo al «Convegno sui femminili professionali», portando proprio questa sua esperienza ed intervenendo come co-relatrice.
«Il problema, sotto il profilo linguistico, è inesistente, visto che le parole al femminile già ci sono — osserva Lucich — e quindi se non vengono utilizzate significa che l’ostacolo è solo di tipo culturale. Io desidero abbattere questi ostacoli, anche con iniziative di principio come quella della pergamena universitaria. In fondo, le studentesse di architettura sono almeno la metà del totale: perché dovremmo chiamarle architetti?».
Non teme di vedersi comunque accostata al termine maschile in futuro? «Certo, ma ogni volta chiarirò di essere un’architetta. Per ora comunque il problema non si pone: lavoro in Austria e lì la parola Architektin è ormai acquisita da anni».