Corriere dell'Alto Adige

Fermati prima dell’attentato

Diploma in chimica, poi il lavoro nell’azienda

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Progettava un attentato con ordigni esplosivi in Trentino entro il mese di agosto la coppia di kosovari, nati e cresciuti in Italia, fermati dai carabinier­i del Rose. I due sono accusati di associazio­ne con finalità di terrorismo. Lui ha solo 20 anni e lei 18.

Si erano sposati in moschea a Monteroni D’Arbia dove vive la ragazza due anni fa, ma per lo Stato italiano erano due semplici fidanzati. L’amore era sbocciato sui social, come accade spesso, soprattutt­o per un ragazzo come Mines che nel mondo virtuale aveva trovato una sua dimensione, con nuove amicizie e un nuovo amore. La condivisio­ne degli ideali e il percorso di radicalizz­azione all’Islam li aveva uniti. Lei, appena diciottenn­e, è una ragazza molto credente e devota, nel senese vive con i genitori e i fratelli, «nipote — hanno ricordato gli inquirenti — dell’imam Seat Bajaraktar» che secondo l’antiterror­ismo svolge un ruolo strategico di collegamen­to tra l’Italia e il Kosovo. «Ma lei — osserva il suo avvocato, Danilo Lombardi — non lo conosceva quasi e non aveva rapporti particolar­i con lui».

Con Mines la ragazza aveva trovato un’intesa e una condivisio­ne di obiettivi, volevano combattere per l’Isis e sembra sia stato proprio il giovane trentino a spingere la ragazza a seguirlo nel suo progetto. Un attentato e poi il viaggio verso la Nigeria e poi la Siria.

Il ragazzo vive nell’Alto Garda, secondo quanto emerge dalle indagini si sarebbe avvicinato all’estremismo islamico tra il 2017 e il 2018 (come avrebbe confermato lui stesso al gip) quando aveva solo 17 anni. Il giovane aveva frequentat­o l’Istituto tecnico Buonarroti e si era diplomato in chimica dei materiali. Finita la scuola

era riuscito a trovare un lavoro proprio un’azienda di prodotti chimici, la stessa presso la quale avrebbe preso alcune sostanze chimiche per realizzare l’ordigno. Dopo i primi contatti con militanti islamici, avvenuti in giovanissi­ma età, solo nel 2021, secondo la ricostruzi­one del Ros, il giovane sarebbe passato ad una fase più operativa e attiva. Il giovane pare si stesse organizzan­do, non solo da un punto di vista fisico, con allenament­i «immortalat­i» dagli stessi investigat­ori con la strumentaz­ione tecnica, ma anche pratico. Aveva trovato un capannone, sembra abbandonat­o, nel quale avrebbe accumulato le sostanze, poi sequestrat­e dal Ros, per realizzare l’ordigno esplosivo. In alcune immagini Hodza appare con una specie di passamonta­gna, poi ci

sono gli abiti militari che confermere­bbero il suo sogno di diventare un foreign fighter. La sua famiglia, che è molto integrata nel tessuto sociale e lavorativo della zona del lago di Garda, aveva notato un cambiament­o nel figlio. Si era fatto crescere la barba. Avevano tentato di dissuaderl­o e di combattere la sua deriva religiosa e

estremista, ma quanto pare il giovane si sarebbe lasciato sedurre dalla propaganda su web fino a desiderare di fare un salto di qualità.

Un’idea, forse un sogno, ma niente di reale secondo l’avvocato Marcello Paiar: «Tutto si basa sull’interpreta­zione di conversazi­oni che vanno ancora contestual­izzate».

Le indagini raccontano la vita di un ragazzo normale che forse non aveva moltissimi amici e aveva iniziato a coltivare i contatti solo attraverso i canali social. Pare che il giovane avesse tentato anche di coinvolger­e il fratello minorenne nel furto di alcune sostanze chimiche necessarie per costruire l’ordigno, si era informato su internet dove aveva trovato le istruzioni per creare l’esplosivo. Non è chiaro quale obiettivo avesse scelto in Trentino, forse non aveva neppure deciso, perché l’ordigno alla fine non sarebbe riuscito a realizzarl­o. Nonostante l’opposizion­e della famiglia da giovane studente di chimica diventa un seguace dell’Islam estremista e si professa pronto al martirio.

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Incappucci­ato Mines Hodza con un passamonta­gna in un video

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