Corriere dell'Alto Adige

Pronti a un attentato in Trentino Fermata coppia di aspiranti jihadisti

Mines Hodza vive nell’Alto Garda. Voleva colpire entro agosto L’ombra dell’estremismo islamico. La difesa: n on è terrorismo Ai domiciliar­i un chimico di 20 anni, indagata la moglie Si era procurato sostanze pari a 300 grammi di tritolo

- Di Dafne Roat

TRENTO In chat manifestav­a il desiderio di lanciare una bomba sul Regno Unito, poi avrebbe spostato il suo obiettivo sul Trentino, terra che lo aveva visto crescere, diventare adolescent­e e poi giovane lavoratore. Era nato nel Veronese, ma la sua vita era nella Busa insieme alla sua famiglia. Vent’anni appena, la scuola, una quotidiani­tà fatta di amici, non molti, a quanto pare, qualche serata in pizzeria, il diploma in chimica dei materiali all’Istituto tecnico, poi il lavoro in un’azienda privata. Tanta normalità. Almeno all’apparenza.

A un tratto qualcosa sarebbe cambiato e Mines Hodza ha iniziato un percorso diverso che lo ha allontanat­o sempre di più dalla quotidiani­tà e dalla sua stessa famiglia. I contatti su Instagram e Telegram, poi l’inizio di un percorso di radicalizz­azione reso possibile ed efficace dalla propaganda jihadista sul web. Infine l’incontro con la moglie, 18 anni, in realtà fidanzata (i due sono sposati solo in moschea), avvenuto sui social.

Progettava­no un attentato con ordigni esplosivi in Trentino entro il mese di agosto i due giovani kosovari, nati e cresciuti in Italia, indagati per associazio­ne con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratic­o, arruolamen­to e addestrame­nto con finalità di terrorismo anche internazio­nale. La coppia, lui figlio di una famiglia che vive nella zona del Garda, molto integrata, lei di Monteroni D’Arbia (Siena) parente dell’imam Seat Bajaraktar (nome noto alle cronache, era stato espulso nel 2019 per motivi si sicurezza nazionale) secondo quanto ricostruit­o dai carabinier­i del Ros di Trento, che hanno operato in sinergia con il Gruppo di intervento speciale (Ris) e il Raggruppam­ento investigaz­ioni scientific­he del comando provincial­e di Trento, attraverso il web si sarebbero addestrati per compiere atti violenti in nome dell’organizzaz­ione terroristi­ca «Stato Islamico».

Il Ros li stava seguendo da alcuni mesi (l’indagine è scattata a febbraio) e il 15 giugno scorso sono entrati in azione e hanno eseguito un provvedime­nto di fermo su richiesta della Procura. Gli investigat­ori sapevano che la coppia voleva entrare in azione entro agosto, il mese scelto per iniziare il viaggio che li avrebbe portati in Nigeria, dove c’è una componente regionale dello stato islamico. Aveva acquistato anche un’auto senza assicurazi­one perché l’idea era di raggiunger­e la Turchia, fare tappa a Istanbul e poi il volo fino in Nigeria. Il giovane trentino sognava di diventare un combattent­e. Ma il primo passo era l’attentato. Così avrebbe dimostrato la sua fedeltà all’Islam.

«Voleva colpire in Trentino.

Questa è un’indagine che non ha uguali in tutta Europa», ha spiegato il procurator­e di Trento Sandro Raimondi. Il giovane, però, non è riuscito a mettere in atto il suo sogno di diventare un foreign fighter, è stato fermato prima.

Il ventenne si trova agli arresti domiciliar­i con il braccialet­to elettronic­o. Perito chimico, a marzo era riuscito a procurarsi, pare sottraendo i prodotti nell’azienda dove lavorava, sostanze chimiche per sintetizza­re fino a 400 grammi di Tatp (perossido di acetone). «Una miscela — ha precisato il comandante del Ros, il generale Pasquale Angelosant­o — che è paragonabi­le a circa 280-300 grammi di tritolo. Altamente lesiva». Avrebbe potuto danneggiar­e un palazzo e uccidere. Secondo l’accusa i due giovani avrebbero tentato di fabbricare un esplosivo del tipo Tcap (perossido di acetone tricilico) che viene prodotto mescolando il perossido di idrogeno (acqua ossigenata) con l’acetone, utilizzand­o come catalizzat­ore una quantità di acido solforico o acido idrico. «Un esplosivo altamente pericoloso», spiega il Ros. Nell’attentato del 2009 alla caserma Santa Barbara di Milano fu utilizzata la stessa sostanza.

Le sue competenze acquisite a scuola lo avrebbero aiutato ma in realtà il giovane kosovaro non avrebbe assemblato alcun ordigno. «Non ero sicuro di riuscire a realizzarl­o», ha detto alla gip Consuelo Pasquali durante l’interrogat­orio di convalida del fermo. Le sostanze chimiche, però, le aveva trovate, in parte prese in azienda, a quanto pare, poi sequestrat­e dai carabinier­i, una parte le aveva in un capanno

ne. Le immagini delle intercetta­zioni ambientali sono eloquenti e raccontano la vita del giovane aspirante combattent­e, gli allenament­i in casa e poi le sostanze chimiche nel laboratori­o. «È la prima volta — spiega il generale — che in Italia ci troviamo di fronte a un radicalizz­ato in proprio, auto addestrato­si sul web, sui canali di produzione di materiale operativo dello Stato islamico che accantona precursori (sostanze chimiche) per compiere un attentato. Si tratta di indicazion­i che provengono da infusori del pensiero dello Stato islamico». In alcuni video in lingua inglese, francese e araba, i due giovani parlano di ricette per torte che sono in sostanza indicazion­i su come confeziona­re un ordigno. Poi si parla della preparazio­ne militare, Hodza si procura anche abiti militari, si fa crescere la barba, «come gli islamisti kosovari», spiegano gli inquirenti. E la fidanzata «si rendeva disponibil­e — scrive il gip — al martirio in nome dell’organizzaz­ione terroristi­ca».

Secondo l’accusa i due avrebbero aderito all’associazio­ne terroristi­ca «daesh» e Hodza — ricostruis­cono gli inquirenti — aveva espresso apprezzame­nti per gli attentati in Europa, come quello di Manchester del 2017, una «radicalizz­azione violenta» che aveva spinto il ragazzo a giurare fedeltà allo Stato islamico nelle mani «virtuali» di un appartenen­te al gruppo terroristi­co. Dopo il fermo a metà giugno, che non è stato convalidat­o, il gip di Rovereto ha firmato un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliar­i solo per il ventenne trentino, la fidanzata è indagata a piede libero. «Non è terrorismo», replica il difensore del giovane trentino, l’avvocato Marcello Paiar. «Le ipotesi di reato non appaiono sorrette da adeguati riscontro probatori, l’uomo ha sempliceme­nte partecipat­o a qualche conversazi­one online, limitandos­i a ipotizzare un viaggio all’estero per cui, peraltro, non risulta aver compiuto atti preparator­i». «La mia cliente ha solo 18 anni, non c’è alcun riscontro ed è completame­nte estranea — aggiunge l’avvocato Danilo Lombardi — sono solo due ragazzi in crisi di identità».

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Nel laboratori­o Un fermo immagine dei video registrati dagli inquirenti in cui l’indagato utilizza sostanze esplosive. Nel tondo l’avvocato Paiar

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