Corriere dell'Alto Adige

«Oggi sempre più miliziani da tastiera La dinamica di coppia spinge all’azione»

L’esperto: «La radicalizz­azione avviene sulle piattaform­e web Stato Islamico indebolito, ma con forti propaggini in Africa»

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Nei Balcani infiltrazi­oni di gruppi estremisti legati ai Paesi del Golfo

TRENTO Lorenzo Vidino, già responsabi­le dell’osservator­io «Radicalizz­azione e terrorismo internazio­nale» dell’Ispi ed attuale direttore del Programma sull’estremismo della George Washington University, lei sotto il governo Renzi è stato anche coordinato­re della commission­e sulla radicalizz­azione jihadista a Palazzo Chigi: che potere ha oggi lo Stato Islamico?

«Come organizzaz­ione è assolutame­nte indebolito perché ha perso tutto il controllo territoria­le in Siria, tuttavia esiste ancora. Soprattutt­o nelle sue propaggini in giro per il mondo, che sono circa una dozzina».

I due indagati fermati dai carabinier­i di Trento sono una coppia, entrambi giovani e figli di immigrati: in Italia ci sono già stati casi di radicalizz­azione di persone di seconda generazion­e?

«Si, in particolar­e negli ultimi dieci anni, ma i numeri sono piccoli. Si può dire che questo caso rientra tra i primi in Italia».

Quali sono le principali dinamiche di radicalizz­azione?

«Negli ultimi anni, soprattutt­o in Italia, il web è il trend dominante. Ci si comincia a radicalizz­are attraverso la propaganda che si trova in piattaform­e mainstream come Youtube e Facebook e poi ci si infila in piattaform­e più chiuse (e spesso criptate), all’interno delle quali ci si incita a vicenda. Si è formato un califfato virtuale accessibil­e a chiunque».

Su cosa si basa la propaganda dello Stato Islamico?

«Il concetto generale è quelmaggio­ranza lo di dire, soprattutt­o ai musulmani che vivono in Occidente, che esiste un complotto contro il vero Islam e per difenderlo devi fare il tuo dovere, attaccando i miscredent­i, come se fosse un obbligo religioso. In pratica come in ogni ideologia c’è un nemico, un potente cattivo, che bisogna contrastar­e per la sopravvive­nza della comunità. Oggi però la propaganda è molto più smart, viene fatta su TikTok e con video “hollywoodi­ani”».

Ci sono profili più suscettibi­li?

«Non esiste un profilo unico di chi si radicalizz­a: si va dai dodicenni ai settantenn­i, da soggetti con un alto livello di istruzione a soggetti con una scarsa istruzione, uomini e donne».

Come si passa all’azione? «Il passaggio dallo jihadismo da tastiera all’azione è molto complesso. C’è tutta una propaganda che ti incita e ti dà anche indicazion­i pratiche, ma poi sta al singolo eseguire l’attentato. E la stragrande

La propaganda è diventata più smart: si fa su TikTok e con video mozzafiato

rimane jihadista da tastiera. Però c’è anche chi passa all’azione e qui subentrano fattori psicologic­i. E non solo. La dinamica di coppia è un altro fattore, perché oltre alla dimensione online c’è anche una dimensione offline, a computer spento, che ti porta a vivere in una bolla».

La famiglia della coppia è kosovara. I Balcani sono un’area soggetta alla radicalizz­azione jihadista?

«L’Islam tradiziona­le balcanico è famoso per la sua moderazion­e, ma negli ultimi trent’anni nei Balcani si sono infiltrate una serie di network legati ai Paesi del Golfo che hanno portato un Islam molto più conservato­re, se non estremista. L’Albania e il Kosovo sono stati i Paesi che, in rapporto alla popolazion­e, hanno avuto il numero più alto di foreign fighters per lo Stato Islamico».

Si può quantifica­re il fenomeno in Italia?

«Qui lo scenario è più tranquillo rispetto ad altri Paesi. Dalla Francia sono partiti 1.500 foreign fighters, dalla Germania 1.000, dall’Austria 200, invece dall’Italia solo 130. Non è un fenomeno sociale, ma riguarda casi isolati».

I due indagati sarebbero dovuti andare in Nigeria per unirsi allo Stato Islamico. Bisogna ricalibrar­e l’attenzione sul continente africano?

«Assolutame­nte, negli ultimi cinque anni il baricentro si è spostato nel continente africano, in particolar­e nelle regioni subsaharia­ne. Tuttavia non abbiamo ondate di foreign fighters che partono dall’Europa: per la Siria sono partiti tra i 5.000 e i 6.000 europei, adesso per l’Africa parliamo di poche unità, non solo per problemi logistici, ma anche perché l’appeal emotivo è più debole».

Cosa ha favorito questo spostament­o di baricentro?

«Ci sono una serie di gruppi locali ribelli che negli ultimi decenni hanno cominciato ad indossare il mantello dello Stato Islamico per ragioni spesso utilitaris­tiche, perché adottando questo “brand” ottengono reclute e fondi dal network globale dello Stato Islamico. Che a sua volta si serve di questi gruppi per diffondere la propria ideologia».

Come prevenire il fenomeno della radicalizz­azione?

«Principalm­ente attraverso un ottimo lavoro investigat­ivo e su questo fronte in Italia siamo messi molto bene. In Italia ci sono anche meno filiere di reclutamen­to perché le forze di intelligen­ce, una volta individuat­i i soggetti carismatic­i, possono espellerli dal territorio italiano».

Tommaso Di Giannanton­io

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Un gruppo di jihadisti che imbraccian­o le armi. Lo Stato Islamico è un’organizzaz­ione che è esplosa nel 2013
Estremisti Un gruppo di jihadisti che imbraccian­o le armi. Lo Stato Islamico è un’organizzaz­ione che è esplosa nel 2013
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Vidino

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