Simula l’attacco con l’esplosivo «Volevo sentirmi dire che valgo»
La mamma del 21enne: «Si allenava nella sua stanza, speriamo venga tutto ridimensionato, non capiva»
Per gli investigatori del Ros Mines Hodza era una minaccia reale. Il giovane perito chimico dell’Alto Garda aveva anche fatto le prove di un attentato esplosivo nel centro di Riva. Il particolare, inquietante, affiora dalle indagini. Il ventenne aveva simulato l’attentato pregando per avere il coraggio, poi la fuga verso casa e il ringraziamento ad Allah.
NAGO «Mio figlio è solamente un immaturo. Tutto il tempo chiuso in camera a giocare e allenarsi. Sempre col computer in mano. Adesso quella che per noi era una cosa piccola, è diventata una cosa enorme. Speriamo che si chiarisca presto tutto, che le cose siano restituite alla loro dimensione reale. Che per noi è quella di un ragazzino che credeva di giocare». La mamma di Mines Hodza, il ragazzo di 21 anni accusato di essere uno jihadista e di progettare un attentato in Trentino, risponde con una cortesia imbarazzata alle pochissime domande che si possono abbozzare su una rampa di scale. «Mio figlio è dentro…». «Lo so, ma con lui non si può parlare». «Non possiamo parlare nemmeno noi e non saprei nemmeno cosa dire di più. Ha preso tutto dimensioni che non avevamo nemmeno mai immaginato. Non riusciamo a crederci, ma è così. Possiamo solo aspettare che le indagini facciano chiarezza».
Nel complesso di palazzine tra Passo San Giovanni e Nago,
sulla statale rivana, dove abita la famiglia Hodza, venerdì il via vai di mezzi dei carabinieri non poteva passare inosservato. È quasi un minuscolo quartiere, con una pizzeria e altri spazi commerciali al piano terra e una quindicina di appartamenti a quelli superiori. Dietro il verde delle campagne e poi le pareti verticali che chiudono la valle. Davanti la barriera quasi insormontabile di una statale che per 15 ore al giorno è un serpentone di auto che si muovono a passo d’uomo. Molte porte chiuse, di sabato mattina. Qualcuno sui balconi, a godere del vento ancora fresco prima che il sole di questi giorni trasformi tutto nella solita fornace. La famiglia Hodza la conoscono tutti e tutti ne parlano con un rispetto quasi affettuoso. Aggiungendo che vedendo lì i carabinieri, avevano subito immaginato che il problema fosse Mines.
Perché Mines, dicono, è da tempo un problema anche per la sua famiglia. I cui litigi, con le finestre aperte e a pochi metri una dall’altra, si sentono anche se nella vita ci si sforza di farsi gli affari propri. Il padre di Mines, dice un vicino, è la presenza più costante nella vita del condominio: è normale trovarlo la sera su una sedia in cortile, a chiacchierare con gli altri al fresco. Di tutto e di niente. Dei suoi problemi col figlio maggiore, apertamente non avrebbe parlato mai. Ma mentre i due fratelli, appena di qualche anno più giovani, e la sorella ancora bambina sono una presenza quotidiana nella vita di quel microcosmo, fatto anche di improvvisate partite a pallone sul piazzale della pizzeria, appena l’assenza di clienti all’esterno le rende possibili, Mines negli ultimi due anni è stato praticamente un fantasma.
«Si è fatto crescere la barba — racconta un altro dei vicini — ha smesso di farsi vedere in giro assieme ai fratelli. È sparito. Arriva e si chiude in casa. È chiaro che ha fatto una scelta religiosa più radicale e che ha voluto renderla visibile, quasi ostentarla con quella barba che è un po’ una banalla
diera. Qua siamo persone di almeno tre religioni diverse, ma le viviamo tutti in modo molto più laico e tollerante. Siamo musulmani o induisti come voi siete cattolici. Verrebbe da dire che viviamo la religione in un modo più normale, anche se è chiaro che poi ognuno trova normale il suo modo di vivere le cose. Lui comunque si è isolato in un contesto diverso. Che con il nostro e anche quello del resto della sua famiglia, è chiarissimo da tempo, non ha niente in comune».
La scelta di concedere a Mines Hodza gli arresti domiciliari nel suo contesto familiare, è stata motivata dal Gip di Rovereto proprio con la convinzione che quell’ambiente potesse essere il più adatto per consentirgli di «deradicalizzarsi». Una decisione che luce di quanto dicono i vicini, sembra oltremodo ragionevole: se c’è un posto dove in un quadrato di qualche centinaio di metri di lato si ha la sensazione di cosa possa essere una società multiculturale e multireligiosa, è lì. Ognuno mantiene le proprie tradizioni e fedi, ma senza alcun bisogno di definirle in antagonismo con quelle degli altri. L’opposto della radicalizzazione di cui Mines Hodza è stato protagonista.
«Un ragazzino immaturo» dice la madre. Che deve avere trovato altrove le influenze che lo hanno spinto a incanalare il suo «gioco» nell’alveo pericolosissimo dell’estremismo religioso e, potenzialmente, del terrorismo. Arrivando fino a che punto, potranno dirlo solo le indagini.