«Tanti cittadini di serie B e i gruppi estremisti trovano spazi identitari»
Abdolmohammadi: attenzione alla fragilità sociale
TRENTO Concorsi, bandi, progetti, se hai la cittadinanza italiana è semplice, fai la domanda e speri di essere selezionato. Ma se non ce l’hai diventa tutto più difficile, anche se sei nato e cresciuto in Italia. Per esempio uno studente che vuole fare un soggiorno studio all’estero incontra ostacoli burocratici che altri compagni come lui, ma nati da madre o padre italiani, non hanno. Sono circa un milione i minori di seconda o terza generazione nati o cresciuti in Italia ma senza cittadinanza. Questo perché la legge del 1992 sancisce il principio dello Ius sanguinis, letteralmente il diritto del sangue. Ma in questo modo «lo Stato accetta di considerare una parte dei suoi cittadini come cittadini di serie B, lasciando aperti spazi identitari che, in determinate situazioni di fragilità, potrebbero essere aggrediti da gruppi estremisti come l’Isis», riflette Pejman Abdolmohammadi, docente di Storia e politica del Medio Oriente all’Università di Trento. Il giorno dopo il fermo della giovane coppia trentina accusata di essersi affiliata allo Stato Islamico, Abdolmohammadi invita a riflettere su un «grande problema» del nostro Paese.
Professore, qual è il rapporto tra politica e religione in organizzazioni terroristiche come l’Isis?
«Nel Novecento a partire dalla Fratellanza musulmana ci sono stati movimenti intellettuali ma anche religiosi che hanno cominciato ad utilizzare la religione come ideologia politica. E quando portiamo la religione dal campo dell’etica e della moralità a quello dell’ideologia trasferiamo questo concetto nell’arena del potere, e in questo campo non c’è più la dimensione del sacro, ma solo quella del profano. Quindi non si può più parlare di religione. La religione, diventando ideologia politica, perde la sua dimensione spirituale. Ci sono un miliardo e mezzo di musulmani nel mondo, ma non c’entrano niente con questi gruppi estremisti».
Al di là del caso specifico della coppia trentina indagata, che dovrà seguire l’iter giudiziario, perché collega le dinamiche di radicalizzazione jihadista alla legge sulla cittadinanza?
«Perché in Italia non c’è una responsabilità pubblica finalizzata all’integrazione. Se non affrontiamo questo grande problema alimentiamo disagio sociale e culturale, che in determinate situazioni danno spazio a gruppi estremisti come l’Isis, che usa l’Islam come ideologia politica. Se una persona non si sente appartenente ad una nazione è più esposta a fenomeni identitari esterni. Per questa ragione è molto importante che ci sia un dibattito pubblico, sentito da tutta la popolazione, su una legge che riconosca la cittadinanza italiana ai giovani di seconda e terza generazione».
Perché è così importante?
«Non ci vuole tanto a capire che oggi lasciamo questi ragazzi senza un’identità per 18 anni, abbandonandoli ad una serie di predatori esterni. Se lo Stato non riconosce la cittadinanza a queste persone lascia aperti spazi identitari e se una persona si trova in una situazione di fragilità sociale, economica e psicologica, i sistemi che offrono schemi alternativi, anche estremisti, diventano una fonte di attrazione. Quando non hai una nazione che offre accoglienza si alimenta una sorta di estraniamento nella persona. Si tratta di una negligenza dello Stato davvero importante».
Il 29 giugno la Camera dei deputati discuterà una proposta di legge che mira a introdurre lo Ius scholae, ossia il principio che riconosce la cittadinanza italiana ai minori figli di immigrati che abbiano frequentato almeno un ciclo scolastico in Italia, senza che debbano aspettare il compimento dei 18 anni. Va nella giusta direzione?
«Certo, la cittadinanza è anche cultura, non è solo sangue. Altrimenti in quei 18 anni lo Stato accetta di considerare una parte dei suoi cittadini come cittadini di serie B. Se noi offrissimo la cittadinanza favoriremmo chiaramente quel senso di appartenenza alla nazione. Se mi viene riconosciuta la cittadinanza sono meno vulnerabile a chi mi offre un’alternativa. Ma la mia identità devo sentirla sin dall’inizio».