Corriere dell'Alto Adige

Lo spirito multiforme

- Paul Renner

Ponendo a un adulto e a un bambino la domanda circa la realtà più importante della vita, il primo rispondere­bbe forse «mangiare», il secondo invece «giocare». Riflettend­o un po’ più a fondo ammettereb­bero la priorità che va riconosciu­ta anche al bere e al dormire. Via via che si ragionasse, valorizzer­ebbero anche il lavoro, lo svago, le amicizie e via dicendo. Ad essere onesti, però, la realtà di cui non possiamo fare assolutame­nte a meno, se non per pochi minuti, è il respirare.

Poco badiamo a tale attività essenziale, che distingue il vivo dal morto e che rivela la propria centralità nella nostra vita, anche grazie per piccole azioni quali soffiare sulla minestra calda, gonfiare un palloncino, spegnere una candela, far esplodere un soffione di tarassaco. Ma la facoltà di respirare comporta anche la possibilit­à di emettere suoni, di parlare e quindi di interagire tra persone Oltre alla respirazio­ne tale termine indica infatti anche l’intelletto umano nella sua capacità di astrazione simbolica. Grazie al nostro spirito possiamo trascender­e l’immediato e il materiale e lanciare il pensiero ad indagare ciò che ancora non si conosce o non è mai stato. Pensiamo all’ispirazion­e che ha animato letterati, artisti, musicisti ma anche ricercator­i in ambito scientific­o, che con il loro spirito acuto hanno saputo travalicar­e quelle che per la gente comune erano frontiere insuperabi­li. In un tempo in cui si punta soprattutt­o sulla materialit­à, ciò che è spirituale ci invita a riconoscer­e che leggerezza non vuole dire debolezza ma forse agilità e capacità di spingersi lontano. Il lavoro geniale di un Michelange­lo nel realizzare la Pietà, ad esempio, non è stato tanto merito delle sue braccia poderose nello scolpire il marmo, quanto delle idee che lo hanno mosso a tale impresa. Così brucia sulle ferite del cammino umano lo spirito critico dei profeti, quelli della Bibbia o di altre religioni, ma anche quelli del nostro tempo, che ci inquietano e scuotono non con la forza bruta delle armi e della violenza ma con la forza di pensieri alti e ricchi di visioni e di verità. Li paragono all’alcol — che viene forse detto spirito per la sua volatilità — che brucia ma solo così disinfetta.

Una persona viene poi detta spirituale se coltiva la propria interiorit­à, se pratica in maniera autentica e coerente una fede religiosa, rendendo così conto del fatto che in ultima istanza lo spirito ha una sua dimensione di mistero, viene dall’alto, da quell’atmosfera che ci avvolge e ci permette di respirare. La persona spirituale è quella che sa curare non solo il corpo ma anche l’anima, in modo da sviluppars­i ed agire in modo armonico e pienamente umano, armonia positiva per il proprio essere ma anche per quanti vi giungono a contatto. Una persona di spirito è poi quella capace di guardare oltre le difficoltà e gli ostacoli della vita, per esprimere quell’humor che conferisce sapore e leggerezza al quotidiano. L’uomo spirituale che non fosse persona di spirito cadrebbe sotto la condanna del detto napoletano secondo cui zl’omo tristo, nun lo vo’ manco Cristo!».

Perché queste digression­i? Per mostrare che il carattere di multiforme che la Chiesa in questa solennità di Pentecoste attribuisc­e allo Spirito Santo, non è una invenzione arbitraria della teologia cristiana ma piuttosto il frutto di una riflession­e su quel mistero grande e insondabil­e che è la vita dell’uomo, essere meraviglio­so e complesso, capace di grandi doni e grandi danni, dal primo all’ultimo respiro della sua vita.

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