Lo spirito multiforme
Ponendo a un adulto e a un bambino la domanda circa la realtà più importante della vita, il primo risponderebbe forse «mangiare», il secondo invece «giocare». Riflettendo un po’ più a fondo ammetterebbero la priorità che va riconosciuta anche al bere e al dormire. Via via che si ragionasse, valorizzerebbero anche il lavoro, lo svago, le amicizie e via dicendo. Ad essere onesti, però, la realtà di cui non possiamo fare assolutamente a meno, se non per pochi minuti, è il respirare.
Poco badiamo a tale attività essenziale, che distingue il vivo dal morto e che rivela la propria centralità nella nostra vita, anche grazie per piccole azioni quali soffiare sulla minestra calda, gonfiare un palloncino, spegnere una candela, far esplodere un soffione di tarassaco. Ma la facoltà di respirare comporta anche la possibilità di emettere suoni, di parlare e quindi di interagire tra persone Oltre alla respirazione tale termine indica infatti anche l’intelletto umano nella sua capacità di astrazione simbolica. Grazie al nostro spirito possiamo trascendere l’immediato e il materiale e lanciare il pensiero ad indagare ciò che ancora non si conosce o non è mai stato. Pensiamo all’ispirazione che ha animato letterati, artisti, musicisti ma anche ricercatori in ambito scientifico, che con il loro spirito acuto hanno saputo travalicare quelle che per la gente comune erano frontiere insuperabili. In un tempo in cui si punta soprattutto sulla materialità, ciò che è spirituale ci invita a riconoscere che leggerezza non vuole dire debolezza ma forse agilità e capacità di spingersi lontano. Il lavoro geniale di un Michelangelo nel realizzare la Pietà, ad esempio, non è stato tanto merito delle sue braccia poderose nello scolpire il marmo, quanto delle idee che lo hanno mosso a tale impresa. Così brucia sulle ferite del cammino umano lo spirito critico dei profeti, quelli della Bibbia o di altre religioni, ma anche quelli del nostro tempo, che ci inquietano e scuotono non con la forza bruta delle armi e della violenza ma con la forza di pensieri alti e ricchi di visioni e di verità. Li paragono all’alcol — che viene forse detto spirito per la sua volatilità — che brucia ma solo così disinfetta.
Una persona viene poi detta spirituale se coltiva la propria interiorità, se pratica in maniera autentica e coerente una fede religiosa, rendendo così conto del fatto che in ultima istanza lo spirito ha una sua dimensione di mistero, viene dall’alto, da quell’atmosfera che ci avvolge e ci permette di respirare. La persona spirituale è quella che sa curare non solo il corpo ma anche l’anima, in modo da svilupparsi ed agire in modo armonico e pienamente umano, armonia positiva per il proprio essere ma anche per quanti vi giungono a contatto. Una persona di spirito è poi quella capace di guardare oltre le difficoltà e gli ostacoli della vita, per esprimere quell’humor che conferisce sapore e leggerezza al quotidiano. L’uomo spirituale che non fosse persona di spirito cadrebbe sotto la condanna del detto napoletano secondo cui zl’omo tristo, nun lo vo’ manco Cristo!».
Perché queste digressioni? Per mostrare che il carattere di multiforme che la Chiesa in questa solennità di Pentecoste attribuisce allo Spirito Santo, non è una invenzione arbitraria della teologia cristiana ma piuttosto il frutto di una riflessione su quel mistero grande e insondabile che è la vita dell’uomo, essere meraviglioso e complesso, capace di grandi doni e grandi danni, dal primo all’ultimo respiro della sua vita.