«Le mamme di Ester e Igor, due sorelle unite nel dolore»
Oltre cinquecento persone ai funerali della 37enne uccisa Il parroco: «Il male è una scelta, queste famiglie lo rifiutano»
«Qui, oggi, si conclude il pellegrinaggio tra i santuari del dolore che ha piegato tutta la nostra comunità, che ci ha visti raccoglierci domenica sera nel corso della veglia per Ester, ma anche ieri per l’addio a Igor. E ci avviamo alla conclusione con un primo passo positivo, che è già un segno importante: nel primo banco, qui davanti, sono seduti i genitori di lei, ma anche la madre di lui. Assieme, uniti in questo momento, e non era scontato, anzi è difficile». Don Albino Dell’Eva l’ha voluto sottolineare tre volte, prima di iniziare con le formule di rito per celebrare i funerali della 37enne: «Preghiamo per la pace, la stessa pace che ieri a Castello abbiamo invocato per Igor, che discenda anche su tutti quelli che sono qui riuniti, allo stesso modo».
C’erano almeno duecento persone, ieri, strette all’interno della navata alta, ma cortissima, della chiesa parrocchiale di Montalbiano. Avrebbero potuto essere anche di più, ma il corridoio centrale, tra le due file di panche, è stato tenuto quasi completamente sgombro: per oltre mezz’ora, prima del rito, è servito per far sfilare un infinito corteo di amici e conoscenti che hanno voluto raggiungere per un istante i parenti della donna — e dell’ex compagno, in egual misura — per manifestare la loro vicinanza con le parole, con le mani, con le lacrime. E ancora, un po’ di spazio, dietro il fonte battesimale, era riservato all’impianto che collegava i microfoni del pulpito con i diffusori audio a stativo piazzati all’esterno, sul sagrato e sulla strada, per consentire anche a chi non era riuscito a entrare di seguire la funzione; ed erano tantissimi, almeno altre 300 persone a circondare la chiesa o a guardarla dall’abitato. Riunite attorno all’altare, comunque, si potevano distinguere pressoché tutte le diverse realtà che animano la Valfloriana: le giacche grigie di feltro del coro «la Valle», i piumini a vento blu dell’associazione «Bambi», le divise dei pompieri e dei carabinieri volontari, lo stendardo del gruppo costumi storici cembrani, il gonfalone della sezione locale Avis., tutti scossi dalla commozione a ogni sguardo rivolto alla bara di Ester Palmieri, a ogni parola del parroco che la ricordava «dolce e buona» dopo aver preso spunto dalla lettura dalla Genesi — Caino e Abele — per parlare del «male accovacciato alla nostra porta, a quella di tutti, dalla grande metropoli ai piccoli angoli sperduti di paradiso, come Montalbiano».
Don Dell’Eva ha sospirato ricordando come «misteriosamente, giovedì mattina, Igor ha aperto la sua porta, e il male è entrato», ma ha anche voluto sottolineare quando «due donne una più straziata dell’altra, hanno deciso, hanno scelto, di non aprire la porta al male, ma di aprire la porta l’una all’altra, sorella nel dolore»: «All’indomani del delitto, Fiorella, la mamma di Igor, con la trepidazione e il coraggio che solo una mamma può trovare, ha deciso di recarsi alla porta della casa di Bruna, la madre di Ester, di bussare e chiedere di entrare, pronta a qualsiasi reazione, anche la più avversa. E chi si trova davanti? Un’altra mamma, che semplicemente apre le sue braccia, l’abbraccia e piange insieme con lei, mentre ascolta le parole di disperazione di Fiorella per il doppio gesto insensato che ha compiuto il figlio. Ecco, questo è Vangelo allo stato puro». Non è un caso che il parroco torni a più riprese sulla vicinanza delle due famiglie nella disperazione, una comunione che non lascia spazio alla rabbia, perché «il male è anche una scelta personale: facciamo bene a indagare tutti i condizionamenti psicologici, sociali, culturali che rendono meno libero il nostro arbitrio, ma alla fine riamane anche la nostra responsabilità. Rispettare l’altro, chiunque esso sia, uomo o donna, rimane nelle nostre possibilità, è un scelta». A questo sembra aggrapparsi lo stesso prete dalla voce sempre più incerta, alla possibilità che «la tragedia serva almeno a dare uno scossone alle nostre coscienze». Lui stesso, ammette, quando è entrato nella cucina luogo dell’omicidio, accompagnato dalla sorella di Ester, e ha visto appeso il crocifisso «che ha visto tutto, unico testimone», ha percepito «un immenso senso di impotenza: ancora lui, Gesù, inchiodato su una croce, che non vuol scendere per mettersi in salvo. Ma perché — ha incalzato don Dell’Eva — non sei sceso almeno a salvare Ester, e lo stesso Igor nel suo istinto femminicida? Perché, Gesù, non hai fermato la sua mano assassina? Perché? Io non lo so. Ma c’è una luce nel buio — conclude il parroco — Questo “perché” senza risposta assomiglia a quello di Gesù che dalla croce gridava il suo abbandono verso il Cielo, il mio “perché”, il vostro, quello di Ester, sono accolti nel grembo di quell’infinito “perché” del
Don Albino Dell’Eva Questa tragedia deve servire a dare uno scossone alle nostre coscienze
Figlio di Dio abbandonato. Dunque solo apparentemente senza risposta, é depositato in un grembo fecondo di vita più forte della morte».
A chiudere la cerimonia, le poche parole dello zio di Ester, Sergio Genetin, che citando il nome dello studio olistico della nipote l’ha definita «scintilla di speranza, e non solo per la Valfloriana».