L’«effetto boomerang» condiziona molti contesti della nostra quotidianità
Il boomerang lo conosciamo tutti. È quello strumento di caccia usato dagli aborigeni d’Australia, che richiede una notevole perizia per colpire la preda o tornare a chi lo ha lanciato. Se si difetta di tale capacità, lo strumento può tornare in maniera incontrollata e addirittura ferire chi lo ha scagliato. È in questo senso che si parla di «effetto boomerang», un fenomeno che si riscontra in tanti contesti della nostra vita.
Pensiamo alla politica. Alcuni segretari di partiti nazionali hanno avanzato la propria candidatura al Parlamento europeo che tra non molto andremo a votare, pur avendo dichiarato con fermezza che resteranno al proprio posto. Non si tratta di un palese inganno verso gli elettori? E questi vorranno ricompensare chi li prende in giro?
A Tenerife gli abitanti protestano con toni crescenti contro l’eccesso di presenze turistiche sulla loro isola, con relative code, inquinamento, aumento dei prezzi, consumo del territorio. L’industria del turismo spinta alla massima velocità non sta forse causano danni anche alla nostra terra e alla nostra popolazione? Vogliamo sfruttare ancora di più le nostre montagne, quando tutti gli esperti pronosticano un calo delle precipitazioni nevose e della disponibilità non solo di neve ma anche di acqua? L’illusione di un benessere (economico) non rischia di causare un malessere globale?
Un effetto discutibile lo ottengono anche i nuovi centri commerciali che vengono realizzati — spesso con una densità inopportuna — nelle nostre città. Promettono di offrire nuovi posti di lavoro ma in realtà concorrono alla chiusura (evidente a tutti!) di altre attività già in situazioni difficili e dunque alla semplice migrazione di forza lavoro da altri negozi e imprese.
Anche i guru dei messaggi pubblicitari a volte lanciano delle campagne o dei messaggi che si rivelano veri boomerang. Penso allo spot radiofonico di una marca automobilistica che su un’emittente locale insiste nel ripetere sempre tre volte le parole del messaggio. Tale ripetizione non solo sembra un’offesa a chi soffre di balbuzie ma crea anche un fastidio negli ascoltatori. Io personalmente — e so di non essere il solo — cambio immediatamente canale per questa sciocca insistenza che non fornisce informazioni sul prodotto ma genera un senso di imprecisione e di disturbo per chi è all’ascolto, già insofferente per la pausa pubblicitaria che interrompe il flusso delle trasmissioni.
Naturalmente anche noi preti sperimentiamo che più risulta lunga e dettagliata la predica che proponiamo ai fedeli, più cala la loro attenzione e la possibilità di recepire un messaggio che risulta spesso ripetitivo e diluito. In latino maccheronico si suole dichiarare: «Repetita iuvant, sed stufant». I nostri nonni sentenziavano invece in modo ancor più lapidario: «il troppo stroppia».
Lo stesso vale comunque anche per l’educazione. Inutile ripetere divieti e precetti a bambini e ragazzi oppure minacciarli di premi o sanzioni che poi non commineremo loro. Se l’adulto non si rivela affidabile nelle sue promesse (sia positive che negative) non sarà la ripetizione compulsiva delle parole ad ottenere l’effetto sperato, ma anzi rischierà di impedirlo. Un effetto boomerang nelle dinamiche educative lo provoca soprattutto la frequente incoerenza che i nostri giovani riscontrano fra quanto diciamo e quanto poi compiamo nella pratica. Perdita di tempo chiedere loro di giocare di meno con il telefonino se noi passiamo tanto tempo davanti alla TV o immersi nei nostri giochi di ruolo.