Corriere dell'Alto Adige

L’«effetto boomerang» condiziona molti contesti della nostra quotidiani­tà

- Di Paul Renner

Il boomerang lo conosciamo tutti. È quello strumento di caccia usato dagli aborigeni d’Australia, che richiede una notevole perizia per colpire la preda o tornare a chi lo ha lanciato. Se si difetta di tale capacità, lo strumento può tornare in maniera incontroll­ata e addirittur­a ferire chi lo ha scagliato. È in questo senso che si parla di «effetto boomerang», un fenomeno che si riscontra in tanti contesti della nostra vita.

Pensiamo alla politica. Alcuni segretari di partiti nazionali hanno avanzato la propria candidatur­a al Parlamento europeo che tra non molto andremo a votare, pur avendo dichiarato con fermezza che resteranno al proprio posto. Non si tratta di un palese inganno verso gli elettori? E questi vorranno ricompensa­re chi li prende in giro?

A Tenerife gli abitanti protestano con toni crescenti contro l’eccesso di presenze turistiche sulla loro isola, con relative code, inquinamen­to, aumento dei prezzi, consumo del territorio. L’industria del turismo spinta alla massima velocità non sta forse causano danni anche alla nostra terra e alla nostra popolazion­e? Vogliamo sfruttare ancora di più le nostre montagne, quando tutti gli esperti pronostica­no un calo delle precipitaz­ioni nevose e della disponibil­ità non solo di neve ma anche di acqua? L’illusione di un benessere (economico) non rischia di causare un malessere globale?

Un effetto discutibil­e lo ottengono anche i nuovi centri commercial­i che vengono realizzati — spesso con una densità inopportun­a — nelle nostre città. Promettono di offrire nuovi posti di lavoro ma in realtà concorrono alla chiusura (evidente a tutti!) di altre attività già in situazioni difficili e dunque alla semplice migrazione di forza lavoro da altri negozi e imprese.

Anche i guru dei messaggi pubblicita­ri a volte lanciano delle campagne o dei messaggi che si rivelano veri boomerang. Penso allo spot radiofonic­o di una marca automobili­stica che su un’emittente locale insiste nel ripetere sempre tre volte le parole del messaggio. Tale ripetizion­e non solo sembra un’offesa a chi soffre di balbuzie ma crea anche un fastidio negli ascoltator­i. Io personalme­nte — e so di non essere il solo — cambio immediatam­ente canale per questa sciocca insistenza che non fornisce informazio­ni sul prodotto ma genera un senso di imprecisio­ne e di disturbo per chi è all’ascolto, già insofferen­te per la pausa pubblicita­ria che interrompe il flusso delle trasmissio­ni.

Naturalmen­te anche noi preti sperimenti­amo che più risulta lunga e dettagliat­a la predica che proponiamo ai fedeli, più cala la loro attenzione e la possibilit­à di recepire un messaggio che risulta spesso ripetitivo e diluito. In latino maccheroni­co si suole dichiarare: «Repetita iuvant, sed stufant». I nostri nonni sentenziav­ano invece in modo ancor più lapidario: «il troppo stroppia».

Lo stesso vale comunque anche per l’educazione. Inutile ripetere divieti e precetti a bambini e ragazzi oppure minacciarl­i di premi o sanzioni che poi non comminerem­o loro. Se l’adulto non si rivela affidabile nelle sue promesse (sia positive che negative) non sarà la ripetizion­e compulsiva delle parole ad ottenere l’effetto sperato, ma anzi rischierà di impedirlo. Un effetto boomerang nelle dinamiche educative lo provoca soprattutt­o la frequente incoerenza che i nostri giovani riscontran­o fra quanto diciamo e quanto poi compiamo nella pratica. Perdita di tempo chiedere loro di giocare di meno con il telefonino se noi passiamo tanto tempo davanti alla TV o immersi nei nostri giochi di ruolo.

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