Corriere dello Sport (Lazio)

«Maradona Zico e quel -9»

Filisetti: «Con la Lazio le sfide più grandi della mia vita. Nell’87 un’impresa unica»

- Di Daniele Rindone ARCHIVIO CORSPORT

La partita era loro contro tutti: «Eravamo soli, non c’era la società. Eravamo noi e lui, Eugenio Fascetti». C’era un solo risultato: «Dovevamo vincere per forza, sempre». Partivano da sotto zero: «Partivamo dal -9, ma giocavamo per la Lazio». Giocavano a rincorrere, giocavano per la Lazio del -9, l’unica squadra ricordata con un segno e un numero. Daniele Filisetti, ex difensore bergamasco classe 1959, oggi odontoiatr­a, c’era nel 1987, c’era in quell’annata conclusa con la “finale” del San Paolo: «Quella Lazio è stata la Squadra, ognuno remava per l’altro. E’ stata una delle più grandi imprese realizzate nel calcio italiano. C’erano i due punti, era molto difficile recuperare. Avevamo Fascetti, un allenatore che era avanti vent’anni». Il racconto è storia: «Il mister ad inizio stagione disse “chi se la sente resti, chi non se la sente può andare via adesso”. Non si prendevano stipendi, c’era solo bisogno di gente che ci credesse. Nessuno andò via, così entrammo nella storia». Era il 5 luglio 1987, Lazio-Campobasso finì 1-0, gol di Poli. La condanna del -9 diventò salvezza in B. Filisetti era in panchina, rimase a bocca aperta: «Ricordo l’uscita dallo spogliatoi­o prima del riscaldame­nto, c’erano migliaia di nostri tifosi, accadeva in uno stadio di un’altra città. Dicevano che tra Roma e Napoli s’era creata una colonna di macchine di laziali».

Filisetti, a Roma, LE FIGURINE. settimanal­e con l’Atalanta, cui assistevan­o quattro pensionati e sei nipotini, all’allenament­o di Tor di Quinto. Era un giovedì, c’erano cinquemila persone, radio e tv. E ho capito tutto». Erano anni durissimi per la Lazio: «Quando sono arrivato a Roma c’erano Laudrup, Giordano, Manfredoni­a, giocavo con le loro figurine e un giorno li ho avuti come compagni. Li ammiravo, da buon ragazzo sognavo di giocarci contro o insieme, non pensavo di farcela». Filisetti iniziò a giocare con le sue figurine e a sfidare i mostri sacri: «Ho marcato Zico, ho Daniele Filisetti, classe 1959, con la maglia della Lazio: difensore, si è ritirato nel 1993. In biancocele­ste dal 1983 al 1987 Daniele Filisetti è nato a Nembro il 2 settembre 1959. Ha giocato con Atalanta, Lazio, Venezia-Mestre, Venezia e Alzano dove ha chiuso la carriera giocato anche contro Maradona, Diaz, Barbadillo, ce n’erano di campioni. Il destino me li ha fatti incontrare uno dietro l’altro». Non erano i soli: «Marcai anche Platini, una cosa che non ho mai augurato a nessuno. Dopo la partita contro Zico presi 8 in pagella, lui però aveva 40 di febbre, non diciamolo in giro (risata, ndr)». Filisetti, quando sbarcò a Roma, conobbe Juan Carlos Lorenzo. Un giorno gli chiese di perdere 5 chili: «Lorenzo mi faceva marcare gli avversari in base al peso».

La nostra prima pagina sottratto qualcosa, gli avversari l’hanno affrontata sempre con vistoso cipiglio, denunciand­o poi usura - sette giorni dopo contro i suoi diretti rivali. Anche l’ultima domenica le riserva il compito più difficile fra le tre pretendent­i allo scudetto: il Milan va a Verona dove la squadra di casa ha vinto solo una volta; la Juve non dovrebbe trovare valida resistenza nella scucita Roma di questi tempi. Ben diversa consistenz­a ha questo Napoli, piegato soltanto al 93’ dal Milan a San Siro. Il suo campo è uno dei quattro ancora imbattuti, la sua difesa è seconda soltanto a quella di Maestrelli, la sua animosità è stata ampiamente illustrata in settimana da rancorose dichiarazi­oni. Su questo terreno dove non passa dal lontano campionato di B del 1961-1962, la Lazio deve assolutame­nte vincere per coltivare le ultime deboli speranze: l’impegno è anche psicologic­amente gravoso, soprattutt­o se le notizie da Verona dovessero smorzarne l’entusiasmo durante la partita.

Il Napoli del San Paolo non è quello imbelle e sdrucito visto in giro per l’Italia dove ha raccolto appena sei punti e messo a segno una sola rete con il giovane promettent­e Ferradini, giusto domenica scorsa a Genova. Davanti al proprio caldissimo pubblico la squadra di Chiappella mette gli speroni.

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