Corriere dello Sport (Lombardia)

FOSTER: «IO E ARMSTRONG SIAMO DUE ANGELI CADUTI»

E’ venuto a trovarci l’attore che incarna l’asso maledetto. «Lui brutale, Pantani danzava»

- ROMA - di Marco Evangelist­i

A differenza del suo personaggi­o sin qui più famoso, Ben Foster va ad acqua fresca. E ne offre in giro per la stanza. «Volete? Scusate, ma non ho più voce a furia di viaggiare». Passa per Roma, quindi va a Glasgow, Londra, Parigi. « Poi torno a New York, finalmente». Il mondo è bello, ma quella è casa sua. Ci è arrivato da Los Angeles,dopo essere nato a Boston e passato dall’Iowa. « A Los Angeles è tutto profession­ale in misura inquietant­e». Per chi fa cinema, la città s’identifica con il lavoro. «Quindi, datemi New York».

Lance Armstrong non andava ad acqua fresca. Si può dire, visto che lo ha confessato. E’ diventato campione del mondo mentre tutti gli altri guardavano altrove, a Oslo, sotto la pioggia e sopra l’olio che trasudava dall’asfalto del porto. Ha avuto un cancro partito dai testicoli, è stato operato due volte, ha superato quattro cicli di chemiotera­pia, dal 1999 al 2005 ha vinto sette Tour de France che poi gli sono stati tolti. Per doping, ovviamente. E’ stato uno straniero, un intruso, uno sceriffo del gruppo, un simbolo. Infine un bugiardo, forse una lavanda per la coscienza collettiva. Adesso è un film. “The Program”, di Stephen Friars. In Italia esce l’8 ottobre prossimo.

Ascesa e caduta. Verità a molte facce, delitto e castigo e rimorso e dubbio. Tutto quanto fa spettacolo e vita. La storia di Armstrong è una mitologia sufficient­emente moderna da riempire il cinema. Lo schermo, se non le sale. Regia rapida e precisa, interpreta­zioni vaste e profonde. A cominciare da quella di Foster, che non è di quegli atleti gigioni o scaramanti­ci: «Chi vive facendo sedie non le fabbrica per sentirsi dire che sono molto comode. Ma se qualcuno lo nota, gli fa piacere». Questo per dire che gli occhi sull’Oscar per questa performanc­e li ha allungati. E’ venuto di persona al giornale per parlarcene.

Foster, lei conosceva il ciclismo prima di questa esperienza? « Neanche un po’. Mi hanno dato sei settimane per prepararmi. Poi sono cominciate le riprese».

E’ stata dura? «Durissima. E’ uno sport brutale».

Chi conosce il ciclismo ha notato la somiglianz­a impression­ante tra la sua pedalata e quella del vero Armstrong. «Gli specialist­i del computer hanno digitalizz­ato i movimenti di Armstrong. Un’analisi che mi è servita per capire come dovevo pedalare. Lo stile era pressappoc­o già lo stesso, con i talloni allargati. Molto diverso, per esempio, da quello di Marco Pantani. Pantani danzava sulle montagne. Armstrong le aggrediva. Il resto è stato allenament­o, allenament­o, allenament­o».

Ha citato lei Pantani, un altro eroe maledetto di quegli anni. Maledetto nel senso di grande, sfortunato, controvers­o. « Maledetto, forse. Ma terribilme­nte affascinan­te. Per l’incredibil­e facilità con la quale si alzava lungo le salite. Io lo ho viste quelle montagne, quelle pendenze. Facevano paura agli autisti delle automobili. A lui no. Le aspettava, partiva, spariva».

Armstrong non è un cattivo banale. Ha il suo lato oscuro e insieme è stato ispirazion­e per tanti altri uomini di sport, forza per gli ammalati di cancro, modello per molte persone in difficoltà. Doping e beneficenz­a. « E’ proprio questo l’aspetto straordina­rio del personaggi­o, questo chiaroscur­o che lo rende una prova di grande appeal per un atto-

Ben Foster nel ruolo di Lance Armstrong: la somiglianz­a è notevole. Il film “The Program” uscirà in Italia giovedì 8 ottobre re. Armstrong è stato il buono, il cattivo e molto di più. Alla fine passerà alla storia come un bugiardo. Ma non era l’unico».

E’ entrato in contatto con lui durante la lavorazion­e del film? «Ho tentato. Anche attraverso persone a lui vicine. Mi ha fatto sapere che non era interessat­o a incontrarm­i. Non mi sento di biasimarlo».

Lei è stato Angelo degli XMen, un mutante, un supereroe che preferireb­be sentirsi normale. Armstrong voleva diventare un superuomo per pura forza di volontà. «Non avevo pensato alla cosa sotto questo punto di vista. In effetti però è splendido per un attore trovarsi a esplorare nella sua carriera le contraddiz­ioni dell’animo umano. Armstrong ha sbagliato, ma è lecito interrogar­si sulle sue motivazion­i. Se il suo errore non sia il frutto di un sistema che del doping alla fine ha fatto un mezzo per far circolare molto, molto denaro».

Armstrong a parte, chi è il personaggi­o più intrigante della vicenda? «Non ho dubbi: Michele Ferrari. Non mi sento di giudicare le sue azioni e neppure l’argomento che portava - che porta nel film: di persona non l’ho conosciuto - come giustifica­zione del doping, cioè che la scienza ha il diritto e il dovere di eliminare le differenze che la natura impone agli uomini. Non è compito mio emettere sentenze. Posso solo dire che ildottor Ferrari è un uomo intelligen­te».

Il film «Per The Program sei settimane di allenament­o E un Armstrong digitalizz­ato»

L’attore e Lance «Ho tentato di entrare in contatto con lui, ma non ha voluto incontrarm­i Lo comprendo»

Lei per chi fa il tifo, nella vita reale? « Per chi non parte favorito. Non sono un appassiona­to di sport alla Tv. Di solito guardo le finali dei campionati».

Lo sport «Faccio il tifo per chi parte sfavorito Niente più atleti, ormai sono vecchio sarò l’allenatore»

Il prossimo atleta che interprete­rà? «Ormai sono troppo vecchio. Potrei recitare nel ruolo di un allenatore».

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