Corriere dello Sport (Nazionale)
TAMBERI «UN ANNO SENZA VIVERE»
«Nessuna distrazione, solo allenamenti e gare Sacrifico gli studi e l’amore per questo obiettivo e se vinco la medaglia la divido con la mia fidanzata»
Ai Mondiali di Pechino dello scorso agosto, segnati dallo storico flop della spedizione azzurra, è stato l’unico a esibirsi in una finale nello stadio olimpico che ospitò i Giochi 2008. Non andò benissimo. Perché i voli di Gianmarco Tamberi, detto Gimbo, si fermarono a quota 2,28 e finì solo 8° dopo l’exploit di un mese prima in cui, primo italiano, irruppe nel gotha dei giganti del salto in alto superando i 2,37. Una specialità in grande evoluzione, con Barshim, Bondarenko. Kynard, Ukhov, Zhang, Drouin, sempre più vicini a violare l’antico record che il cubano Sotomayor detiene dal lontano 1993 con 2,45, in cui il 23 marchigiano che sognava la NBA, guida una inedita pattuglia acrobatrica tricolore in cui spiccano anche Fassinotti (2,34) e Chesani, argento agli Euroindoor del marzo scorso. Nel circo della specialità è stato ribattezzato il “saltatore Rock”, per il suo look unico. Va in pedana con la faccia rasata a metà e non disdegna esibire tinte forti con i capelli ora azzurra ora verdi. Finanziere delle Fiamme Gialle, è figlio e nipote d’arte: papà Marco, che lo allena, saltava 2,26 e partecipò ai Giochi di Mosca 1980 (quelli che videro il trionfo di una certa Sara Simeoni); nonno Bruno, livornese, superò 1,86 nel 1939.
Tre anni fa a Londra la sua prima Olimpiade (non entrò in finale). Ora c’è Rio, la grande occasione. Il sogno della ditta Tamberi & c., suffragato però dalle gerarchie di merito che al termine di questo stagione collocano Gianmarco al terzo posto, a pari merito con altri tre saltatori, è quello di salire sul podio a Rio. Acciuffare una medaglia che nella storia dell’alto maschile azzurro fu sfiorata col 6° posto di Giacomo Crosa a Città del Messico 1968 (record italiano a 2,14) e Rodolfo Bergamo a Montreal 1976. Per saltare su una medaglia a Rio si è preso un anno sabbatico all’università e rinunciato a seguire la fidanzata che da Ancona si è trasferita per studio a Verona. I suoi look sono ormai famosi quanto i sui voli, ci stupirà ancora sulla pedana di Rio? «Non voglio rinunciarci per nulla al mondo. La barba rasata a metà fa parte della mia personalità. Mi combino così perché altrimenti sarebbe tutto troppo noioso. Con il mio look un po’ strano contribuisco allo show e al pubblico piace. E a me dà la carica». Però nella finale dei Mondiali di Pechino non le ha portato poi così bene. «A un certo punto mi battevo per il podio assieme ad altri tre. Ma l’alto è fatto così, se perdi un attimo la concentrazione scivoli giù in un attimo. Basta un errore e sei fregato». Cosa ha imparato da quella finale che le sarà utile a Rio? «Tutto. Soprattutto per quanto riguarda l’approccio ai Mondiali». Ha pagato andare in pedana da protagonista? «Proprio così. Era la prima volta, prima mi guardavano tutti come una comparsa. Eppoi la mia finale era l’ultimo giorno, quando il bilancio della squadra era già stato compromesso. I miei compagni di squadra mi chiamavano “La Speranza”». Quale errore non ripeterebbe a Rio? «Meno impegno nelle settimane che precedono i Giochi. Dopo aver saltato i 2,37 a Eberstadt ci ho dato dentro con gli allenamenti. Ogni volta che andavo al campo era una gara, volevo sempre mettermi alla prova. Pensate, saltavo regolarmente 2,30, quando l’anno prima la mia media in allenamento era 2,20...». Come sta preparando l’Olimpiade? «In gran parte mi alleno a casa, al Palaindoor di Ancona con mio padre. Sono fortunato è l’impianto al coperto più bello d’Italia. Comincerò il 2016 in Sudafrica, a saltare al caldo. E’ fantastico laggiù. E’ la terza volta che ci vado d’inverno». La vedremo in gara già nella stagione indoor? «Sì, ma farò poche gare. Prima uscita a fine gennaio. Ma non credo di andare ai Mondiali di Portland in Oregon: troppo lontani e troppo in là nella stagione (17-20 marzo)»
Con 2,37 è vicino al Club dei 2,40. Ma cose si fa a vincere una medaglia a Rio? «Dovrò essere più regolare sulle alte misure e poi tenere sempre a mente l’obiettivo finale. Anche quando dormo». Nessuna distrazione quindi fino ad agosto? «Appunto. Solo allenamenti e gare. Per un anno ho lasciato l’università (Economia) e fatto un patto con la mia fidanzata: lei si è dovuta trasferire per gli studi (Lingue) a Verona, così ci vediamo solo nel fine settimana e nemmeno tutti. Ad Ancona è come fossi in raduno permanente. Per fortuna il nostro rapporto è collaudato dopo sei anni. Se vinco una medaglia, la divido con lei». E papà? «Ah, non ci fosse lui a seguirmi non sarei mai arrivato a questo punto. Concordiamo sempre tutto: dalla tecnica agli obiettivi da raggiungere. Rio su tutto e tutti» In Brasile con lei l’alto azzurro potrebbe essere rappresentato anche da Chesani e Fassinotti, col quale c’è stima ma poca frequentazione «Con Silvano c’è più feeling tecnico, spesso andiamo assieme a Formia. Di Marco so poco e ci vediamo poco. Del resto lui ha scelto di allenarsi a Birmingham...». Rimpiange di non essere diventato un campione del basket? «No. Ma rimane la mia grande passione. In pedana cerco di trasmettere le emozioni della NBA». Deluso del ritiro di Kobe Bryant? «Ha fatto la scelta che deve fare un campione come lui: lasciare la scena quando è arrivata l’ora. Anche se guadagni 24 milioni l’anno».
«I Mondiali mi hanno insegnato molto, non ripeterò gli stessi errori prima di Rio» «Al mio look non rinuncio: barba rasata a metà e capelli colorati per combattere la noia» «Comincio l’anno in Sudafrica. Non ci fosse papà, non sarei arrivato a questo punto»