BIGLIA STORY I GOL NATI IN CORTILE
Viaggio alle radici del Principito: dalle prime sfide con il fratello a casa della nonna al tetto del mondo. Il papà tra i suoi maestri
Quando non era Principito, capitano e capocannoniere della Lazio, leader, vicecampione del mondo e d’America con l’Argentina, giocava dalla nonna con suo fratello Cristian. Cattivissimi loro. Erano odiati dal vicino di casa, doveva proteggersi dalle pallonate, costruì un muro per salvarsi. Ogni giorno andava così: Lucas e Cristian Biglia compravano un quotidiano sportivo, sceglievano una partita tra quelle in programma e la giocavano. La porta era formata da una piscina gonfiabile acquistata dal padre, Migel “Pego” Biglia. Veniva poggiata sul muro di protezione del povero vicino e partiva la raffica di tiri. La piscina, ovvia- mente, si ruppe presto. I palloni che sorvolavano il confine non venivano recuperati: «Se la palla scavalcava il muro non andavamo a prenderla...». Iniziò tutto a 4 anni, nel Quilmes, un piccolo club. Cristian portò Lucas agli allenamenti. C’era un posto libero.
IL PORTIERE. Uno degli allenatori, il “Pocho” Gomez, lo scelse, lo mise in porta anche se era uno scricciolo d’uomo. Lucas Biglia ancora oggi ha una foto in cui veste i panni da portiere. In porta rimase poco, si spostò nel cuore del centrocampo. Dal Quilmes passò all’Estudiantes Mercedes (squadra della sua città) perché il papà iniziò ad allenare lì. Un giorno, in un torneo, fu notato da un osservatore dell’Argentinos Juniors. L’allenato- re di quel gruppo s’avvicinò a papà Biglia e gli disse “mi interessa quel biondino che gioca a centrocampo, vorrei parlare con il padre”.Lo presero in prova, era il 1997, lo fecero giocare, lo scelsero. Biglia si divideva tra i baby dell’Argentinos Juniors e l’Estudiantes del papà, a volte la domenica giocava due volte: « Nessuno sforzo, lo facevo per voglia». La giornata era lunghissima, andava a scuola di pomeriggio, usciva alle 8 di sera, a quell’ora l’unico deside- rio era tornare a casa, cenare e andare a dormire. Nella prima squadra dell’Argentinos arrivò a 17 anni, il club era in crisi, s’affidarono ai giovani promettenti. Il tecnico Batista lo conosceva dalle giovanili, lo impose subito: «Con me giocherai tu». L’Argentinos fu una scuola mirata, lì gli insegnarono a distribuire il gioco. Poi passò all’Independiente, Il tecnicoFalcioni un giorno gli prese la mano: «Mi disse che la maglia 5 era mia, che il posto da titolare dipendeva da me, non dai giocatori che sarebbero arrivati». Tra i maestri di Biglia c’è anche Hugo Tocalli, l’ha allenato nell’Argentina dei baby: «Sa di calcio, è un educatore, i suoi insegnamenti mi hanno dato frutti. Mi ha sempre detto che ero il suo capitano, il suo allenatore dentro al gruppo». IL BOOM. Lucas Rodrigo Biglia ha detto addio al Sudamerica a 20 anni, ha scelto l’Anderlecht e l’Europa, è diventato grande altrove. L’Argentina l’ha conquistata lasciandola, andando via, rientrandoci. In Belgio è cresciuto, è diventato uomo, ha debuttato in Champions. La vita di Lucas non è stata così facile come sembra. Le difficoltà sono arrivate dopo. La morte del padre, nel 2008, lo sconvolse, porta sempre con sè una maglia con il suo volto. Prima di sbarcare a Roma passò un altro momento terribile, rischiò di cadere in depressione. Scappò in Argentina, una volta si chiuse per 10 giorni in una stanza buia, i medici gli prescrivevano cure, sentiva la testa scoppiare. La forza interiore, l’amore per la moglie e per la sua fa- miglia, lo aiutarono, ne uscì, non toccò mai gli antidrepressivi. In quel momento ha capito che la vita non era solo il calcio. Le chiamate della Lazio e dell’Argentina gli hanno dato energia. Oggi Biglia è nel pieno della maturità, è nel pieno di un abbagliante splendore, nell’ultimo anno è diventato tutto, l’ascesa è stata continua. E’ uno dei registi più forti del panorama internazionale. E’ universale, gioca a un tocco, a due tocchi, a tutto campo e ha iniziato a segnare a ripetizione. E’ l’insostituibile di Pioli, il capitano e capocannoniere della Lazio, il vicecampione degli ultimi Mondiali e dell’ultima Coppa America. E’ quel diavolo biondo che faceva impazzire il vicinato e vuole stupire il mondo.
A 4 anni nel Quilmes quasi per caso e fece il portiere. Lo lanciò Falcioni, con Tocalli era già capitano