Corriere dello Sport (Roma)

EL: ora è un trofeo jolly con pochi soldi in più

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ROMA - Dovrebbe essere la nostra competizio­ne, perché siamo quelli che l’hanno alzata più volte insieme alla Spagna (ben 9) e quando si chiamava ancora Coppa Uefa, quando cioè davvero raccogliev­a l’elite del calcio europeo, tutti quelli che erano arrivati alle spalle dei campioni nazionali e che oggi, invece, giocano la Champions. E’ finita però che l’abbiamo trascurata, snobbata: poco convenient­e sul piano economico, poco appetibile sul piano dell’immagine (eppure è sempre un trofeo continenta­le) e troppo dispendios­a sul piano delle energie. Poi all’improvviso l’abbiamo riscoperta: la Juve è arrivata in semifinale nel 2014, mancando la finalissim­a che ha poi ospitato nel suo stadio; Napoli e Fiorentina l’anno scorso si sono spinte allo stesso punto.

JOLLY CHAMPIONS

Tra i motivi che hanno riacceso il nostro interesse per l’Europa League c’è la grande novità introdotta nella passata stagione: alzare il trofeo ora vuol dire assicurars­i un posto in Champions, almeno ai play off. Al Siviglia è andata di lusso: dritto dritto alla fase a gironi perché il Barcellona, vincitore della Champions, si era già qualificat­o ai gruppi in campionato. Così la Spagna è diventato il primo Paese a portare ben 5 squadre alla fase a gironi (il Valencia ha superato i play off).

MAGGIORI RICAVI

Il gap economico con la Champions resta tutto: è una coppa meno ricca, in tutti i sensi anche se in questo triennio la Uefa ha rivisto la ripartizio­ne dei ricavi provando ad alzare il montepremi dell’Europa League di circa 150 milioni di euro. L’accesso ai gironi vale, ad esempio, 2,4 milioni contro i 12 della Champions; ogni gara vinta nei gironi paga 360 mila euro contro gli 1,5 milioni della coppa maggiore.

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