Red Bull l’arroganza costa cara
Il divorzio dalla Renault vale 160 milioni, 500 l’uscita dalla F.1!
La Red Bull sta facendo una maledetta fatica a uscire dall’angolo buio in cui s’è incastrata da sola. Arrogante quando vinceva mondiali in serie, la squadra austriaca lo è rimasta anche in periodi meno felici rendendo ogni altra squadra, ogni possibile interlocutore per la fornitura di motori, una nemica. Se oggi il gruppo austriaco vede i suoi due team in bilico per il 2016, privi di una power unit che consenta di progettare nei dettagli le prossime monoposto, è unicamente per sua colpa. E la deadline è terribilmente vicina: metà ottobre, un paletto piantato in mezzo alla carreggiata. Ancora due settimane e sarà difficilissimo progettare, e per il fornitore organizzarsi, senza una corsa contro il tempo, che in Formula 1 difficilmente porta qualcosa di buono.
MOSSA FOLLE. Tutto è stato causato dalla superbia con cui la Red Bull ha disdetto il contratto con Renault, che era valido anche per il 2016, senza aver parlato prima con Mercedes né con Ferrari. Ma caspita: prima trova l’alternativa, poi rompi. La triade Mateschitz-Marko-Horner ha evidentemente ritenuto che Mercedes e Ferrari si sarebbero scannate in una frenetica asta per assicurarsi quella doppia fornitura (lo ricordiamo: c’è di mezzo anche la Toro Rosso).
Così non è stato: a Silverstone sembrava fatta con la Mercedes, che poi ha cambiato idea per non dare ai rivali, sempre pericolosi grazie al genio del progettista Adrian Newey, l’arma letale in grado di batterli. Quindi a Monza gli emissari si sono presentati da Ferrari per instaurare una trattativa praticamente obbligata: scaricata la Renault, incassato il no di Mercedes e con Honda in piena crisi, non c’era alternativa alle power unit di Maranello. Che oggi si trova tecnicamente in posizione di forza nella negoziazione, ma paradossalmente condannata a scegliere tra sconfitta e mortificazione. Sconfitta se fornirà un motore che consenta alle Red Bull di stare davanti alle Rosse, mortificazione in qualsiasi altro caso perché quando una Red Bull vince è merito del genio espresso a Milton Keynes ma quando le cose non vanno è sempre, sempre colpa degli altri. Oggi la Renault, nel 2012 la Marelli (centraline che avevano preso a rompersi solo perché troppo sacrificate in spazi angusti e scosse da vibrazioni) e presto le intemerate potrebbero riguardare Maranello.
PARANOIA. La discussione s’è accesa sul livello di aggiornamento dei motori da fornire. La Ferrari s’è resa conto di essersi resa troppo disponibile con le prime dichiarazioni di Marchionne e Arrivabene. Probabilmente la memoria storica del reparto motori - Mattia Binotto - avrà spiegato della paranoia con cui Newey già nel 2006 accusò la Ferrari di scorrettezza nella fornitura. Per dirla più chiaramente: di consegnare motori spompati rispetto a quelli usati dalle Rosse. Quelle accuse portarono alla rottura del rapporto, Red Bull si unì a Renault nel 2007 mentre Toro Rosso continuò con le unità di Maranello, ottenendo il suo primo (e tutt’oggi unico) successo nel 2008 a Monza. Anni di piccoli e grandi sgarbi portano a questa impasse: perché un diamante è per sempre, ma un insulto no.
D’altronde se ne dovrà venire fuori. Nessuno può permettersi l’uscita di Red Bull e Toro Rosso dal Mondiale. Non la Formula 1 per non andare incontro al collasso con sole nove squadre (otto se non si risolverà il nodo Renault-Lotus), né tantomeno il gruppo austriaco che scaricando Renault ha già perso qualcosa come 160 milioni di ricavi dagli sponsor tecnici (circa 80 solo da Infiniti che dal 2013 tinge di violetto la carrozzeria Red Bull). E un altro mezzo miliardo secco costerebbe l’uscita dalla Formula 1, tra mancati introiti dei proventi 2015 e penali varie. Un bel rebus.
Gli austriaci non trovano i motori per la presunzione con cui hanno gestito vittorie e ko
Ecco perché l’accordo tra Red Bull e Ferrari è una condanna per entrambe