PARISSE «ITALIA, DAI IL MASSIMO»
/3/ GIOCO AL PIEDE Dopo un mese rientra il capitano: «Irlanda più forte, ma con l’1% di possibilità si lotta»
Un'ambientazione più suggestiva non l'avrebbe studiata neppure Nathan Crowley, lo scenografo di Interstellar. Nello stadio che tre anni fa ha consegnato alla storia delle Olimpiadi la leggenda di Usain Bolt - seconda tripletta d'oro dopo quella di Pechino 2008 - l'Italia riabbraccia ufficialmente il suo fenomeno. Che non corre i 100 in 9"58 e non ipnotizza il pubblico con smorfie e pose da arciere, ma è capace di trascinare oltre l'ostacolo qualsiasi squadra. Il nuovo Stade Français, fresco di scudetto, come la nostra Nazionale.
Sergio Parisse entra in campo per ultimo per guidare il tradizionale "captain's run", il galoppo del capitano che segna la rifi- nitura, molto simbolica, di ogni test-match. Cuffie biancocelesti, bottiglietta d'acqua, sguardo fisso. Un cenno di saluto ai cronisti, poi uno ai compagni. Tutti in cerchio, lontani dai microfoni. Parla, si accalora. Per trequattro minuti non vola una mosca. Il pastore è tornato. Manca dal 5 settembre, da quando a Cardiff rimediò un ematoma al polpaccio sinistro che ha richiesto un intervento di drenaggio e quasi un mese di riabilitazione. Ha il viso scavato, l'occhio meno vivace del consueto. Sarà al 60-70 per cento. Ma c'è, e per l'Italia spaurita di questi tempi è tutto quello che serve.
UNO PER CENTO. « Non credo che questa squadra sia Parisse-dipendente - si schermisce - Mi fa piacere che la mia influenza sia positiva, ma mi aspetto il meglio dai miei compagni e dallo staff come loro si aspettano il meglio da me. Non giochiamo a golf o a tennis, bisogna essere in ventitrè per vincere le partite».
Affronta la sua quarta Coppa del Mondo e l'aveva immaginata diversa: « Quando sei fuori da un evento per cui hai lavorato dei mesi è sempre dura. Ma è la legge dello sport. Penso a Esposito e a Morisi, tagliati fuori da due infortuni. Ho vissuto le prime due partite da tifoso, sul diva- no di casa. Al telefono avvertivo la tensione che c'era nel gruppo, specie prima del Canada. Con i nordamericani dovevamo vincere e si è vinto. Magari non nel modo in cui il mondo intero si aspettava, ma in questa Coppa tutte le cosiddette piccole stanno mettendo in difficoltà le grandi. Adesso tocca noi. L'Irlanda è più forte in tutti i sensi, le nostre speranze sono ridotte, ma se hai anche solo l'uno per cento di possibilità devi batterti fino in fondo per pro- varci. Non sono in condizioni perfette, ma non è un alibi. Spingerò al massimo. Quando sarò stanco cercherò di tenere di testa».
Viene da un mese di stop: «Non sono al meglio, ma niente alibi. E poi le partite si vincono in 23»
Nel dopo-Mondiale lo Stade Français lo vuole in esclusiva, però lui è essenziale per la ricostruzione