Corriere dello Sport (Roma)

PARISSE «ITALIA, DAI IL MASSIMO»

/3/ GIOCO AL PIEDE Dopo un mese rientra il capitano: «Irlanda più forte, ma con l’1% di possibilit­à si lotta»

- Di Francesco Volpe

Un'ambientazi­one più suggestiva non l'avrebbe studiata neppure Nathan Crowley, lo scenografo di Interstell­ar. Nello stadio che tre anni fa ha consegnato alla storia delle Olimpiadi la leggenda di Usain Bolt - seconda tripletta d'oro dopo quella di Pechino 2008 - l'Italia riabbracci­a ufficialme­nte il suo fenomeno. Che non corre i 100 in 9"58 e non ipnotizza il pubblico con smorfie e pose da arciere, ma è capace di trascinare oltre l'ostacolo qualsiasi squadra. Il nuovo Stade Français, fresco di scudetto, come la nostra Nazionale.

Sergio Parisse entra in campo per ultimo per guidare il tradiziona­le "captain's run", il galoppo del capitano che segna la rifi- nitura, molto simbolica, di ogni test-match. Cuffie biancocele­sti, bottigliet­ta d'acqua, sguardo fisso. Un cenno di saluto ai cronisti, poi uno ai compagni. Tutti in cerchio, lontani dai microfoni. Parla, si accalora. Per trequattro minuti non vola una mosca. Il pastore è tornato. Manca dal 5 settembre, da quando a Cardiff rimediò un ematoma al polpaccio sinistro che ha richiesto un intervento di drenaggio e quasi un mese di riabilitaz­ione. Ha il viso scavato, l'occhio meno vivace del consueto. Sarà al 60-70 per cento. Ma c'è, e per l'Italia spaurita di questi tempi è tutto quello che serve.

UNO PER CENTO. « Non credo che questa squadra sia Parisse-dipendente - si schermisce - Mi fa piacere che la mia influenza sia positiva, ma mi aspetto il meglio dai miei compagni e dallo staff come loro si aspettano il meglio da me. Non giochiamo a golf o a tennis, bisogna essere in ventitrè per vincere le partite».

Affronta la sua quarta Coppa del Mondo e l'aveva immaginata diversa: « Quando sei fuori da un evento per cui hai lavorato dei mesi è sempre dura. Ma è la legge dello sport. Penso a Esposito e a Morisi, tagliati fuori da due infortuni. Ho vissuto le prime due partite da tifoso, sul diva- no di casa. Al telefono avvertivo la tensione che c'era nel gruppo, specie prima del Canada. Con i nordameric­ani dovevamo vincere e si è vinto. Magari non nel modo in cui il mondo intero si aspettava, ma in questa Coppa tutte le cosiddette piccole stanno mettendo in difficoltà le grandi. Adesso tocca noi. L'Irlanda è più forte in tutti i sensi, le nostre speranze sono ridotte, ma se hai anche solo l'uno per cento di possibilit­à devi batterti fino in fondo per pro- varci. Non sono in condizioni perfette, ma non è un alibi. Spingerò al massimo. Quando sarò stanco cercherò di tenere di testa».

Viene da un mese di stop: «Non sono al meglio, ma niente alibi. E poi le partite si vincono in 23»

Nel dopo-Mondiale lo Stade Français lo vuole in esclusiva, però lui è essenziale per la ricostruzi­one

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