Corriere dello Sport (Roma)

«Dall’Olimpico a Milano: l’anno degli stadi»

Uva, dg della Figc: «L’Italia vuole avere tante case»

- Di Andrea Santoni ©RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Sono giorni particolar­i per la Federcalci­o, impegnata sul piano sportivo a conquistar­e la qualificaz­ione a Euro 2016, sul piano politico a gestire la propria posizione all’interno dell’Uefa in vista delle elezioni per il presidente Fifa e sul piano strategico a lanciare un’iniziativa come Made in Italy on the field che cambia gli scenari dell’azione federale.

Michele Uva, che insieme a Vito Cozzoli, Capo di Gabinetto del Mise, il Ministero dello Sviluppo Economico, di quest’ultima iniziativa è stato motore, pensa però anche un appuntamen­to a cui la Figc tiene in modo particolar­e: Italia-Norvegia di martedì all’Olimpico di Roma.

Il dg di via Allegri, da 13 mesi in carica, una lunga e articolata carriera alle spalle, presenta l’evento come l’inizio di un percorso ideale che si concluderà il 28 maggio a San Siro, sede della finale di Champions League, sontuosa vetrina prima di Euro 2016. «Anche San Siro sarà ancora più europeo» assicura il dg azzurro. Questo, potremmo dire dunque, potrebbe essere l’anno degli stadi, secondo quanto ci spiega Uva. Con l’Olimpico sempre centrale anche se non come la casa esclusiva della Nazionale: «L’Olimpico è un impianto bellissimo ma la vocazione che abbiamo è che la Nazionale debba stare tra la gente, debba cercare i propri tifosi, come è sempre stato, è un dato fondamenta­le del nostro dna. Certo, l’Olimpico è e resterà il fulcro delle nostre attività. E’ come se fosse la grande madre che ha molti figli importanti sparsi sul territorio: adesso sono 8, presto saranno 10 ma stiamo lavorando perché con piccoli accorgimen­ti si riesca a crescere ancora di numero: per un complessiv­o upgrade dei nostri stadi non servirebbe molto».

Milano, i 2 stadi di Torino, Firenze, Modena, Palermo, Napoli, ovviamente Roma: qui la Nazionale può giocare, secondo le normative internazio­nali; presto ci sarà Reggio Emilia e Udine e, se l’impegno federale avrà buon esito, potranno tornare disponibil­i anche Bologna e Bari. «Questo deve essere un percorso: non credo a un Olimpico stile Wembley, unica casa della Nazionale inglese». Qualcuno potrebbe proporlo quando Roma e Lazio avranno impianti di proprietà: quel vuoto spaventa. Uva, già dg a Coni Servizi non la pensa così: «Come mi è capitato di fare in passato, faccio l’esempio dello stadio di Cardiff, che non ha club ma che produce utili, insomma si può fare...».

IL FLAMINIO NO. Sarebbe bello poter disporre di risorse azere: lo stupefacen­te stadio olimpico di Baku lascia sorpresi. In Azerbaigia­n sì e in Italia lasciamo andare in malora il Flaminio? Uva sorride amaro: «Stiamo parlando di un impianto, questo azero, da 500 milioni. Per quanto riguarda il Flaminio rimetterlo in funzione, al netto dei costi milionari di gestione, vale più o meno il taglio che il Coni ha fatto alla nostra Federazion­e, una quarantina di milioni. Quella è davvero una brutta gatta da pelare. Noi veniamo da una stagione difficile in questo senso, fatta di tagli. L’unico budget che abbiamo salvato è quello delle Nazionali, tutte le Nazionali, alle quali abbiamo cercato di dare una organizzaz­ione uniforme, uno sviluppo coerente. E non parlo solo della A ma anche delle altre. Adesso aspettiamo i risulati. Confidiamo che martedì all’Olimpico ci sia la possibilit­à di fare una grande festa per l’Italia qualificat­a all’Europeo».

«A Roma ci sarà sempre il fulcro ma la nostra vocazione è cercare i tifosi»

«Il Flaminio? Rimetterlo in funzione costa quanto i tagli che ci ha fatto il Coni...»

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GETTY Michele Uva, a destra, a Baku con Vito Cozzoli, capo di Gabinetto allo sviluppo economico

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