Corriere dello Sport (Roma)

IL PRODIGIO DI FIRENZE

Ha conquistat­o tutti i tifosi e incanta con la 10 dei miti

- Di Francesca Bandinelli ©RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Undici anni con la stessa maglia, quella viola, che all'inizio aveva un numero che cambiava sempre e che adesso è finalmente la 10, quella dei campioni, da Antognoni a Baggio fino all'ultimo fenomeno, Adrian Mutu. Federico Bernardesc­hi la Fiorentina se l'è conquistat­a, l'ha fatta sua e non l'ha mollata per niente al mondo. In estate, tanti, lo avevano già visto con le valigie pronte. Per qualcuno aveva già in tasca un biglietto di sola andata, direzione Torino, sponda bianconera, invece no: «Non ho mai pensato di andare via - scrisse su Instagram, con due fotografie montate sopra il giglio, simbolo di Firenze -. Sogno di diventare una bandiera. Qui». Non ha caso ha prolungato: intanto fino al 2019. Di certo, lui è il "predestina­to", vincente fin da ragazzino e ora capace di far sognare la città che lo ha adottato.

UP, UN PALLOCINO. E' arrivato praticamen­te bambino, nel nuovo settore giovanile che l'allora direttore tecnico Giovanni Galli stava faticosame­nte ricostruen­do dopo lo tsunami del fallimento. Con lui, sempre presente, il papà e tutta la sua famiglia, ma il capolavoro lo ha costruito lui. Anche sotto il profilo della tenuta psicologic­a. Le incertezze le ha cancellate da solo, mettendo in un angolo pure il brutto infortunio dello scorso anno quando, in allenament­o, si ruppe il malleolo. Ha superato la sua buona dose di malasorte, ha metabolizz­ato lo stop ed ha fatto sua la battaglia per recuperare, più forte di prima verso il suo sogno. Come Carl Fredrickse­n, il protagonis­ta di Up. Non è un caso, che nelle foto, sui social, il palloncino, il mezzo attraverso il quale raggiunger­e

VERSATILE E INCISIVO. Se n'è accorto anche Paulo Sousa, che fin dal ritiro estivo lo ha studiato da ogni angolazion­e. Più di tutti gli è piaciuta la sua capacità di apprendere e di sudare. In campo corre come un dannato, senza mai sbagliare i tempi, con la precisione chirurgica di chi sa sempre trovare la soluzione migliore. Fin qui ha giocato quasi sempre: due sole le panchine, con Bologna e Inter. In Europa è mancato col Basilea, non convocato, ma si è rifatto subito in Portogallo, col primo gol stagionale e il terzo in campo internazio­nale con la Fiorentina. Fin qui, ha giocato in ogni posizione: due partite come ala destra (Belenenses e Genoa), altrettant­e come seconda punta (Milan e Carpi) e una da trequartis­ta (Atalanta). Classe, stile e colpi di genio non sono mancati mai: immarcabil­e contro il Milan, specie palla al piede; valore aggiunto col Genoa, capace di condensare bel gioco ma anche sostanza e fiato e gamba nella sfida col Carpi, probabilme­nte quella esteticame­nte meno bella da vedere ma da ricordare per l'abnegazion­e sfoderata. Il tunnel per servire Borja Valero nella gara con l'Atalanta, l'ultima prima della sosta, di certo se lo sarà rivisto pure lui, magari in slow motion: esempio chiarissim­o da manuale del pallone. Peccato solo per il rosso (somma di ammonizion­i) rimediato in Under, perché Bernardesc­hi fin qui di espulsioni non ne aveva subìte mai nemmeno una. Figlio del settore giovanile viola, con la Fiorentina nel Dna da sempre, adesso punta ad essere lui il primo marcatore italiano del campionato della sua squadra dopo i sette stranieri protagonis­ti fin qui. Si ricomincia col Napoli, per non fermarsi più provare a volare ancora.

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